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 Europa

Unione europea, una storia in pillole

Un blocchetto da 12 righe e mezza e 14 blocchetti da 20 righe: dentro ci doveva stare tutta la storia dell’unificazione europea. Questo mi era stato chiesto dall’Acri (l’Associazione delle Casse di risparmio) per la loro agenda del 1999, quella che si dà in omaggio ai clienti affezionati. In occasione del cinquantenario del Trattato di Roma, magari a qualcuno può far piacere dare un’occhiata a questa “storia in pillole”. Non l’ho aggiornata: magari lo farò quando (e se) verrà approvata la Costituzione (23 mar 2007)

(per l’agenda dell’Acri 1999)

UNA DATA NELLA STORIA

Il 1° gennaio 1999 è una data che certamente i libri di storia ricorderanno. Nasce la moneta unica europea, l'euro, ed è un evento importante per l'economia (mondiale, non solo di quelle dei paesi membri), ma anche per la politica, e anche per la vita quotidiana dei 370 milioni di cittadini dell'Europa. L'adozione di una sola moneta, unita ai vincoli per i bilanci pubblici, è una spinta molto forte a far diventare sempre più simili le politiche economiche e le politiche sociali in tutti i paesi aderenti. A quel punto, alla creazione di un solo grande Stato federale mancherà solo un piccolo passo. La Storia non procede in linea retta, e sappiamo che quello che viene costruito può sempre essere distrutto. Ma l'Europa unita è ora ben più di un'ipotesi.

 

 

I "PADRI" DELL'EUROPA

Già nel 1814 C. H. de Saint-Simon e A. Thierry ("La riorganizzazione della società europea") proponevano "una federazione di popoli in un solo corpo politico, conservando a ciascuno di essi l'indipendenza nazionale". Il filone europeista è ricco di nomi autorevoli (seppur di diversi orientamenti), da Giuseppe Mazzini a P. J. Proudhon, da Carlo Cattaneo al socialista austriaco Otto Bauer fino al grande economista Luigi Einaudi. Ma tra i padri della moderna idea europea vanno sicuramente ricordati due italiani: Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi. Militanti antifascisti, confinati nell'isola di Ventotene, elaborarono nel '41 il "Manifesto per un'Europa unita e libera", noto come il "Manifesto di Ventotene", sulla cui base si costituì a Milano, il 27 agosto 1943, il Movimento federalista europeo, destinato a diffondersi in vari paesi. Il primo era stato un attivista comunista, ma nel '47 aveva consumato con il Pci una rottura che si sarebbe sanata solo molti anni dopo: nel '79 fu eletto nelle liste di quel partito (ma come indipendente) al Parlamento europeo, dove avrebbe continuato la sua battaglia federalista fino alla morte avvenuta nel 1986. Il secondo era invece di cultura liberale: sarebbe stato, negli anni '50, tra i fondatori del Partito radicale.

 

 

JEAN MONNET, IL "PROGETTISTA"

Se l'Europa dovesse avere una "bevanda ufficiale", come si usa nelle manifestazioni sportive, probabilmente dovrebbe essere il Cognac. Nella cittadina francese che porta questo nome nacque infatti, nel 1888, Jean Monnet, un'altra personalità a cui spetta un posto d'onore tra i padri del processo di unità europea. Finanziere internazionale e uomo politico, Monnet fu il primo vicesegretario generale (tra il 1919 e il '23) della Società delle Nazioni, da cui poi sarebbe nata l'Onu. Protagonista della ricostruzione francese nel dopoguerra, fu lui a redigere il progetto di unificazione europea (che divenne noto con il nome del ministro Robert Shuman, che lo presentò nel 1950), nella convinzione che fosse quella l'unica strada che avrebbe consentito una riconciliazione tra Francia e Germania: una tesi sulla stessa linea di quella che, nel primo dopoguerra, era stata sostenuta dal nostro Luigi Einaudi. In seguito al piano Shuman e per iniziativa di Francia, Italia, Germania, Olanda, Belgio e Lussemburgo nasce nel '51 la Ceca, Comunità europea del carbone e dell'acciaio, per la gestione in comune di queste risorse. Non era il primo organismo unitario ad essere creato, ma fu il primo che riuscì ad essere effettivamente operativo.

 

 

LE PRIME ISTITUZIONI

L'Organizzazione europea per la cooperazione economica (Oece) e il Consiglio d'Europa vengono fondati rispettivamente nel 1948 e 1949. Sono le prime istituzioni comunitarie e alla loro nascita  contribuiscono idee e istanze che derivano da filoni diversi e anche da diverse intenzioni. C'è il "filo rosso" federalista (Spinelli, Monnet) di cui abbiamo parlato, che le vorrebbe come istituzioni sovranazionali, cioè con poteri propri; la Francia di De Gaulle (desiderosa  peraltro che sia tenuta sotto controllo la rinascita tedesca) sostiene questa linea. E c'è chi le vede come organizzazioni intergovernative, cioè sedi dove i vari governi sovrani si accordano su punti specifici. E' la soluzione per cui si batte l'Inghilterra: del resto a Winston Churchill interessa soprattutto creare un fronte contro il pericolo comunista. Prevale la seconda linea: la guida dell'Oece sarà affidata ad un consiglio intergovernativo e le decisioni dovranno essere prese all'unanimità, così come nel Consiglio d'Europa solo il comitato dei ministri (dei vari governi) ha reali poteri decisionali. Il Consiglio giocherà in seguito un ruolo di rilievo nella difesa dei diritti umani, ma nessuna delle due istituzioni è destinata ad avere un peso effettivo nel processo unitario dell'Europa.

 

 

UN PASSO AVANTI E DUE INDIETRO

La Gran Bretagna non aderì alla Ceca, e questo permise di conferirle poteri sovranazionali riguardo al compito assegnato di creare un mercato comune del carbone e dell'acciaio (materiali di fondamentale importanza in quel periodo) evitando ogni discriminazione su base nazionale. Incoraggiati dal successo, i sei paesi della Ceca si posero obiettivi più ambiziosi. Nel maggio 1952 viene firmato il trattato della Ced, Comunità europea di difesa, che avrebbe dovuto in pratica assorbire gli eserciti nazionali entro un'unica organizzazione. Ma non basta: nel frattempo si iniziano i lavori per costituire la Comunità politica europea, che avrebbe avuto una Camera  eletta a suffragio universale, un Senato eletto dai Parlamenti nazionali, un esecutivo e una corte di giustizia. Viene accettata un'idea del nostro presidente del Consiglio, Alcide De Gasperi: il trattato sarà redatto dall'assemblea della Ceca integrata da membri del Consiglio d'Europa. Deve poi essere ratificato dai Parlamenti nazionali: cinque di essi lo fanno, ma è la Francia questa volta a tirarsi indietro. L'intera costruzione crollò, trascinando al fallimento anche l'iniziativa per la difesa comune, che venne di fatto interamente delegata alla Nato, l'organizzazione guidata dagli americani.

 

 

LA STRADA RIPRENDE DALL'ECONOMIA

Il fallimento dell'intesa politica e sulla difesa provocò una pesante battuta d'arresto per il processo d'integrazione europea. Il cammino era destinato a riprendere seguendo un'altra strada, apparentemente meno ambiziosa, più lunga, ma che sta portando ai risultati mancati in passato: la strada dell'integrazione economica. Il 25 marzo del 1957 i sei della Ceca (Francia, Italia, Germania, Belgio, Olanda e Lussemburgo) firmano a Roma il trattato istitutivo della Comunità economica europea (Cee), noto da allora come il "Trattato di Roma", che sarebbe entrato in vigore il 1° gennaio 1958. "La Comunità - recita il Trattato - ha il compito di promuovere, mediante l'instaurazione di un mercato comune e il graduale avvicinamento delle politiche economiche degli Stati membri, uno sviluppo armonioso delle attività economiche nell'insieme della Comunità, un'espansione continua ed equilibrata, una stabilità accresciuta, un miglioramento sempre più rapido del tenore di vita e più strette relazioni fra gli Stati che ad essa partecipano". All'inizio la Gran Bretagna, pur invitata, si rifiuta di aderire. Entrerà solo dal 1973, insieme ad Irlanda e Danimarca. Viene anche sottoscritto un trattato per lo sviluppo dell'energia atomica (Euratom).

 

 

I POTERI DELLA CEE

Ma quali poteri vengono conferiti alla Cee? Anche in questo caso, la soluzione viene trovata in un compromesso, anche se più avanzato rispetto al passato e lasciando aperta la possibilità di ulteriori sviluppi. La Cee rimane in buona parte un "club di governi", in cui si decide solo quando si è tutti d'accordo (continua a valere la regola dell'unanimità). Ma in alcune materie (la più importante delle quali è l'agricoltura, che da sempre assorbe la maggior parte delle risorse del bilancio comunitario) le viene conferita una competenza piena: le sue decisioni in questi campi hanno valore obbligatorio per tutti i paesi membri. E' diretta da una Commissione, autonoma e indipendente dai governi nazionali (anche se responsabile di fronte al Consiglio dei ministri degli Stati membri), ha una sua Corte di giustizia e un Parlamento. Si stabilisce che quest'ultimo, in questa prima fase, venga eletto dai Parlamenti nazionali; non può intervenire sul bilancio comunitario, ma ha il potere di respingerlo; può "sfiduciare" la Commissione, facendola dimettere; dà pareri vincolanti su alcune materie (potere di co-decisione); in sostanza, è essenzialmente un organismo di controllo. Dal 1979 comincerà ad essere eletto a suffragio universale diretto da tutti i cittadini della Comunità.

 

 

LA COMUNITA' SI ALLARGA

Lo scopo della Cee, chiaramente espresso nel Trattato di Roma, metteva come si è visto sotto tono le ambizioni di unificazione politica e puntava invece decisamente sull'armonizzazione delle politiche economiche e sulla creazione di un grande mercato comune dove potessero circolare liberamente prodotti, lavoratori e capitali. Venivano invece mantenute le protezioni verso l'esterno. I vantaggi di far parte di questo grande mercato, uniti ai ridotti vincoli politici previsti, esercitarono inevitabilmente una grande attrazione sugli altri paesi dell'area europea. Così, con un processo a volte difficile e faticoso ma che ha continuato a svilupparsi, ai sei membri si sono aggiunti via via altri paesi, fino all'attuale numero di 15. Nel '73, come si è detto, entrarono Gran Bretagna, Irlanda e Danimarca; nell'81 la Grecia; nell'86 Spagna e Portogallo; e nel 1995, infine, anche Austria, Finlandia e Svezia. E il processo di aggregazione non è ancora finito: nella "sala d'attesa" ci sono numerosi paesi dell'est europeo, dell'ex Jugoslavia e dell'ex Unione Sovietica che chiedono di entrare. I primi ammessi saranno probabilmente Polonia, Slovenia e Repubblica Ceca. Alla Turchia è stato invece rifiutato l'ingresso, perché ritenuta non in regola nel rispetto dei diritti umani.

 

 

L'IMPORTANZA DI PERDERE UNA "E"

Mentre si percorre la strada dell'integrazione economica - neanche questa, del resto, priva di scontri e battute d'arresto - molte personalità non rinunciano a riproporre la prospettiva di quella politica. Nel febbraio 1984 il Parlamento europeo (ormai eletto a suffragio universale e quindi dotato di maggior forza rappresentativa) approva un progetto di trattato per l'unione, tra i cui maggiori promotori ed estensori ritroviamo Altiero Spinelli, l'autore del Manifesto di Ventotene. E' anche grazie a questo impulso che si decide di convocare una conferenza intergovernativa per rivedere il Trattato di Roma. Il risultato è l'Atto unico europeo, entrato in vigore il 1° luglio 1987. Non solo vi si fissano tappe precise per il completamento del mercato unico, ma si stabiliscono anche le regole per la Cooperazione politica europea. I suoi meccanismi restano prevalentemente di tipo intergovernativo,  ma si rende istituzionale la discussione su questi temi. E' un ulteriore passo in avanti. Da allora la Cee perde una "e": non è più una realtà solo "economica", è diventata Comunità europea e cioè un soggetto anche politico. Nel frattempo stanno avvenendo mutamenti di portata mondiale, che favoriranno di lì a poco ulteriori e fondamentali sviluppi.

  

 

IL RILANCIO DELL'UNITA' POLITICA

La fine degli anni Ottanta vede lo sgretolamento dell'"impero" sovietico, il crollo del Muro di Berlino, la riunificazione delle due Germanie, con la Germania est che, di conseguenza, viene automaticamente inclusa nella Comunità. In questo contesto il cancelliere tedesco Helmut Kohl, nel marzo 1990, rilancia il grande sogno dei federalisti, proponendo di creare gli Stati Uniti d'Europa. Nel dicembre di quello stesso anno, a Roma, si riunisce per la prima volta la Conferenza sull'unione politica, e parallelamente si svolgono i lavori sull'unione economica e monetaria. I lavori si concludono un anno dopo, in un vertice dei paesi membri (che sono ancora 12) nella cittadina olandese di Maastricht. In questo stesso luogo, il 7 febbraio 1992, viene firmato il "Trattato di unione europea", ormai noto a tutto come Trattato di Maastricht. Non solo si stabiliscono stretti vincoli nelle politiche monetarie e di bilancio per arrivare, in tre fasi prestabilite, ad una moneta unica europea, ma si estendono di molto i poteri della Comunità sia in materia economica, sia in campi come la politica sociale, la ricerca, l'ambiente, la protezione dei consumatori, la cultura e la sanità. La svolta viene sancita anche con un mutamento nel nome, da Ce a Ue: la Comunità diventa Unione europea.

  

 

IL TRATTATO DI MAASTRICHT

A Maastricht è stato individuato un traguardo di enorme importanza, la fusione delle varie monete europee in una sola. Ma questa delicatissima operazione comportava dei processi di aggiustamento: il valore di una moneta è l'espressione dello stato delle economie dei paesi che l'adottano, quindi lo stato di salute delle economie doveva essere il più possibile simile. Per questo motivo furono fissati i famosi parametri che chiunque volesse far parte della moneta unica doveva rispettare. 1)  Il deficit pubblico (cioè il disavanzo fra entrate e uscite) non deve superare il 3% del prodotto interno lordo (pil), cioè del reddito prodotto dal paese in un anno; il debito pubblico (cioè la somma dei deficit accumulati nel tempo) deve raggiungere al massimo il 60% del pil, o, se superiore, mostrare una tendenza a ridursi verso quel valore. 2) Il tasso d'inflazione non deve superare di più di un punto e mezzo la media di quelli dei tre paesi con l'inflazione più bassa; 3) I tassi d'interesse a lungo termine non devono superare di più di due punti la media di quelli dei paesi con i tassi più bassi; 4) Il cambio della moneta deve essersi mantenuto stabile per almeno due anni. Nel 1998 sarebbero stato controllato il rispetto dei parametri per chi voleva partecipare alla moneta unica.

 

 

LA TEMPESTA DEL '92

Il cammino verso l'unione monetaria avrebbe dovuto subire subito una prova molto dura. Era previsto che il Trattato di Maastricht fosse ratificato dai Parlamenti nazionali; alcuni paesi, prima di farlo, fecero svolgere referendum popolari sull'argomento. L'approvazione generale appariva scontata. Invece, in Danimarca, per una manciata di voti prevalsero i contrari all'adesione. Sembrava un piccolo incidente, invece rischiò di far fallire l'intero disegno. Dal 1978 le monete europee erano legate da un accordo di cambio (il Sistema monetario europeo) in base al quale le oscillazioni tra l'una e l'altra dovevano essere limitate a poco più del 2%. I mercati finanziari internazionali, nella prospettiva della moneta unica, avevano accettato queste valutazioni. Ma il referendum danese spinse gli speculatori a pensare che le cose potevano ancora andare in modo diverso. Si scatenò così una tempesta valutaria di dimensioni mai viste, che costrinse la lira e la sterlina ad uscire dallo Sme, svalutando pesantemente, e i governi europei a modificare gli accordi di cambio. In Italia il governo di Giuliano Amato fu costretto a varare una pesantissima manovra di finanza pubblica per evitare il crack finanziario del paese. Era cominciata la stagione dei "sacrifici".

 

 

IL RISANAMENTO FINANZIARIO

I governi che da allora si sono succeduti alla guida del paese sono stati impegnati in una serie di manovre di risanamento della finanza pubblica. Tra le tappe più importanti sono senz'altro da ricordare l'accordo sul costo del lavoro, siglato da sindacati e Confindustria nel '92 con il governo Amato e perfezionato nel '93 dal governo di  Carlo Azeglio Ciampi, già governatore della Banca d'Italia e poi presidente del Consiglio e ministro del Tesoro, senza dubbio il maggiore protagonista del processo di aggiustamento che ci ha permesso di metterci in regola con i parametri di Maastricht. L'accordo sul costo del lavoro ha avuto un'importanza decisiva nel tenere sotto controllo l'inflazione, che invece avrebbe potuto essere alimentata dalla svalutazione, facendo così diminuire i tassi d'interesse e permettendo cospicui risparmi sulla spesa per gli interessi sul debito pubblico. Altro provvedimento di grande rilevanza è stata la riforma delle pensioni, iniziata da Amato, proseguita da Lamberto Dini e conclusa dal governo di Romano Prodi (con Ciampi ministro del Tesoro). Per raggiungere l'obiettivo è stato anche varato un prelievo straordinario detto "tassa per l'Europa": invece avrebbe dovuto chiamarsi "tassa sugli sprechi del passato", perché da quelli è stata resa necessaria.

 

 

LE ULTIME INCERTEZZE

Fino a tutto il 1996 e persino per una parte del '97 è stato assai dubbio il numero di paesi che avrebbe potuto partecipare alla moneta unica fin dall'inizio, ossia dal 1° gennaio 1999. L'Italia, in particolare, sembrava tagliata fuori perché non ancora a posto con i conti pubblici, ma anche per Spagna e Portogallo la "promozione" appariva tutt'altro che certa. Persino i paesi più forti dell'Unione, Germania e Francia, anche a causa della congiuntura economica sfavorevole mostravano non poche difficoltà a rispettare i parametri sui quali essi stessi avevano fortemente insistito. Soprattutto in Olanda e in Germania, una parte rilevante dell'opinione pubblica non nascondeva la contrarietà a varare un'unione monetaria con paesi le cui economie mostrassero ancora segni di disordine. In Germania, poi, il marco è sempre stato considerato un simbolo dell'identità nazionale, della rinascita dopo i disastri della guerra, della grande forza dell'economia: non è stato facile per i tedeschi convincersi che era necessario abbandonarlo, sia pure per conseguire uno scopo "alto" come quello europeo. Se ciò è stato ottenuto, una buona parte del merito deve essere senz'altro riconosciuta a Helmut Kohl, che ha seguito con tenacia la via dell'unione dando prova di essere un grande statista.

 

 

L'ESAME DI AMMISSIONE

Nel corso del 1997 è emersa però in molti paesi una netta determinazione a raggiungere i parametri finanziari necessari per l'ammissione alla moneta unica fin dalla partenza. Per l'Italia in particolare la prova appariva difficile, visto che nel '96 il rapporto deficit/pil era stato del 6,8%. Invece, grazie ad un ultimo sforzo, e aiutata dalla riduzione dei tassi d'interesse che ha contenuto il costo del debito, il nostro paese è riuscito a ridurre quel rapporto di oltre 4 punti, centrando con larghezza il limite del 3%. Così, il 25 marzo 1997 la Commissione europea ha emesso il suo verdetto: 11 paesi, e l'Italia tra questi, erano in regola con i parametri di Maastricht e avrebbero potuto partecipare alla moneta unica. Lo stesso giorno di 41 anni prima era stato firmato in Campidoglio il Trattato di Roma. Il successivo 2 maggio il Consiglio europeo (formato dai capi di Stato o di governo) ha ratificato la decisione. Dal 1° gennaio 1999 comincia l'avventura della moneta unica, l'euro, per Germania, Francia, Italia, Spagna, Olanda, Austria, Belgio, Irlanda, Portogallo, Finlandia e Lussemburgo. Restano fuori, per ora, la Grecia che non è riuscita a rispettare i parametri; Gran Bretagna, Danimarca e Svezia (che pure sono membri dell'Ue) per loro decisione.

  

 

UN GIGANTE MONDIALE

L'area dell'euro è la più grande area economica mondiale e non deve invidiare nessuno quanto a ricchezza. Ha una popolazione di 290 milioni di persone (che se tutti e quattro gli altri paesi aderiranno diventerà di 370 milioni), contro i 268 milioni degli Stati Uniti. Il suo "peso" sul prodotto lordo mondiale è pari al 19,4% (cioè vi si produce un quinto di tutto il reddito prodotto nel mondo in un anno) contro il 19,6 degli Usa, ma la sua incidenza sul totale del commercio mondiale è del 18,6%, mentre gli Stati Uniti si fermano a due punti percentuali in meno. La moneta unica fa insomma dell'Europa una grande potenza economica e farà cambiare a nostro vantaggio molti degli equilibri che si erano finora consolidati. All'Europa rimane però un grave problema da affrontare: quello della disoccupazione, visto che tuttora sono senza lavoro oltre 20 milioni di persone. Dopo il grande sforzo di risanamento delle finanze pubbliche non ci si può addormentare sugli allori, perché un "patto di stabilità" stabilisce che questi risultati siano preservati e prevede pesanti multe per chi allenti le redini della spesa pubblica. Ma se l'Europa non si preoccuperà anche dello sviluppo e dell'occupazione, i suoi cittadini non la sentiranno come una nuova grande patria.

 


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