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 Finanza pubblica

Un "baco" nella riforma Irpef

Sopra i 30.000 euro chi ha famiglia è svantaggiato rispetto ai single. Come si è prodotto questo singolare effetto, che i tecnici del ministero sono al lavoro per correggere. Anche nel sistema vigente ci sono "errori" di questo genere

(pubblicato su Repubblica.it e su Kataweb il 17 ott 2006)

Lavoratore dipendente, 30.000 euro di reddito, moglie e un figlio entrambi a carico: con la riforma Irpef ha un vantaggio di circa 36 euro. Stessa figura, ma single: il vantaggio sale a 83 euro. Reddito di 37.000 euro, moglie e due figli a carico: 226 euro in meno; lo stesso, single: 42 euro in più. Sono due esempi a caso fra le numerose mail che sono arrivate alla redazione di Repubblica.it dopo la messa on line del programma che permette a ciascuno di calcolare gli effetti della riforma fiscale. Tutte, naturalmente, dal tono piuttosto incredulo: “Siete sicuri? Non c’è qualcosa di sbagliato nel vostro programma”?

 

Gobbe redd2.gifPrima che si impenni il numero delle separazioni e dei divorzi causati da convenienza fiscale è bene chiarire come stanno le cose: il programma funziona bene, è nella legge che c’è qualche problema. Cioè, allo stato attuale è proprio così: in una certa fascia di reddito – grosso modo sopra i 30.000 euro – avere la famiglia a carico non conviene, risultano favoriti i single. Niente paura, però: i tecnici del ministero sono già al lavoro per correggere questi “effetti erratici” della riforma, che nella versione definitiva favorirà chi ha una famiglia da mantenere.

 

Vale la pena di spiegare come sia potuta accadere – sia pur provvisoriamente – una cosa del genere, ma prima bisogna fare una constatazione: questa è la prima volta che una riforma fiscale viene collaudata a livello di massa. Grazie alle nuove tecnologie e a Internet, pochi giorni dopo la presentazione della Finanziaria ognuno ha potuto non solo vedere cosa sarebbe accaduto alla sua busta paga, ma anche fare confronti con situazioni diverse, e accorgersi così che c’era qualcosa che non andava. Perché, cosa che pochi sanno, cose del genere sono accadute anche in passato, solo che nessuno se n’è mai accorto. Almeno, nessuno che non fosse uno specialista di tecniche fiscali.

 

Il sistema attualmente in vigore, per esempio, ha appunto uno di questi “bachi”. Dopo l’entrata in vigore del secondo modulo della riforma fiscale del passato governo (una riforma che non si sa a chi attribuire, perché Tremonti non c’era più, il suo successore Siniscalco l’ha subita e non si trova chi ne rivendichi la paternità) il risparmio fiscale per i redditi bassi ha un andamento discendente, com’è giusto che sia, al crescere del reddito; a 28.000 euro, però, si impenna, per poi ricominciare a scendere; e lo stesso accade, con altri due picchi seguiti poi da discese, nei punti dove l’aliquota marginale (ossia quella che che si paga sull’ultima parte del reddito) scatta dal 23 al 33% e poi dal 33 al 39. Gli economisti chiamano queste situazioni “trappole della povertà”: sono quei casi in cui basta un euro in più di guadagno per provocare uno scatto dell’imposta tale da ridurre il reddito disponibile, i casi insomma in cui a guadagnare di più ci si rimette. In teoria questo non dovrebbe mai accadere; in pratica, come si diceva, è successo parecchie volte.

 

La riforma originaria preparata dal Vincenzo Visco e dai suoi era fatta in modo da non avere “trappole” e, anzi, da eliminare quelle esistenti. Solo che, nella riunione tecnica appena prima del Consiglio dei ministri che avrebbe varato la Finanziaria, furono apportate alcune modifiche non di poco conto. Visco aveva previsto un’aliquota del 42% dai 55.000 euro e del 45% dai 70.000. Ma alcuni ministri obiettarono che si trattava di un inasprimento eccessivo, e alla fine si trovò una mediazione diminuendo le due aliquote, rispettivamente, al 41 e 43% e portando a 75.000 euro il limite dopo il quale sarebbe scattata quella più alta.

 

Non discutiamo se sia stato meglio o peggio: ciò che qui interessa è che quelle modifiche comportavano oltre un miliardo in meno di gettito, e andavano in qualche modo compensate. I tempi stretti non permettevano aggiustamenti sofisticati, così il recupero fu ottenuto riducendo le detrazioni per coniuge e figli. In questo modo, però, il meccanismo si è inceppato e sono venuti fuori quegli effetti improbabili.

 

Naturalmente, non c’era nessuna intenzione di lasciare le cose così. Le modifiche sono praticamente pronte e presto verrà presentato un emendamento per farle approvare nel corso del dibattito parlamentare. In realtà, questo tempo è stato necessario non tanto per rifare i conti e le formule, quanto per trovare la copertura finanziaria: il riallineamento, infatti, verrà fatto verso l’alto (cioè dando di più a chi adesso è in svantaggio), con un costo tra i 450 e i 500 milioni di euro.


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