Un filo di luce
Non fatelo spegnere
Nel nuovo governo non sono entrate nei posti chiave persone caratterizzate dall’adesione alle politiche precedenti. Al ministero più importante, quello dell'Economia, Roberto Gualtieri è certo fra le persone più adatte a trattare con la Commissione. La prossima sessione di bilancio e la scelta del suo economista di riferimento faranno capire se l’aria cambierà davvero
(pubblicato su Repubblica.it il 5 set 2019)
Che si può dire del nuovo governo Conte? Intanto, meno male che c’è. Molti di coloro che considerano il Pd un partito che non ha più nulla a che fare con una cultura di sinistra – e tra questi da parecchio tempo mi colloco anch’io – avrebbero preferito che non nascesse, ritenendo questa maggioranza non migliore di quella che con ogni probabilità sarebbe uscita dalle altrimenti inevitabili elezioni anticipate. A parere di chi scrive, un futuro Parlamento con una maggioranza assoluta di destra reazionaria – Lega, FdI, forse quel che resta di Forza Italia – avrebbe rappresentato un evento catastrofico per l’assetto istituzionale del paese. Basti pensare alla china iniziata con i “decreti sicurezza”, a come sarebbe stato realizzato il regionalismo differenziato (la “secessione dei ricchi”), al fisco ancora più sperequato a danno dei deboli, alla prossima elezione del presidente della Repubblica, al completamento dell’occupazione dei vari posti di potere sia nelle istituzioni che nell’economia. Le politiche possono cambiare in modo relativamente facile, per gli assetti istituzionali è molto più complicato, una volta fatti i danni è problematico tornare indietro. Diventa anzi più probabile un avvitamento verso il peggio.
Quel rischio è tutt’altro che scampato: però è almeno sospeso, e ora c’è una possibilità di far sgonfiare la bolla-Salvini. Dipenderà dal fatto che questo riesca ad essere davvero un “governo del cambiamento”, che riesca almeno a ridurre le fratture che da quasi un trentennio si stanno approfondendo e che hanno progressivamente cambiato la direzione secondo cui la società italiana si era mossa dal dopoguerra fino agli anni ’80. In quegli anni si era compiuto un percorso, seppure faticoso, incompleto e non privo di errori, verso la realizzazione di quello che i Costituenti avevano disegnato con la nostra Carta fondamentale. Dalla sanità pubblica alle riforme dell’istruzione allo Statuto dei lavoratori, ci si muoveva verso una società più inclusiva, in cui il benessere e la prospettiva di miglioramento sociale diventavano una possibilità concreta per un numero sempre maggiore di cittadini.
L’inversione di rotta è un’impresa alla portata di questo esecutivo e di questa maggioranza? A guardare alla storia recente dei due partiti che li formano si sarebbe portati a dire di no. I 5S sono un concentrato di confusione ideologica e politica. Il Pd, nato male e cresciuto peggio, è stato specialmente negli ultimi anni, dalla gestione Renzi in poi, un corifeo delle ricette liberiste sporcate da un populismo elettoralistico. E però proprio Renzi ha avuto un sussulto di istinto di sopravvivenza politica quando, con una giravolta di 180 gradi, ha proposto l’accordo con i 5S. E’ possibile che, di fronte al precipizio sul cui limite continuiamo ad pencolare, quello stesso istinto di sopravvivenza spinga i due partiti a ritrovare politiche che recuperino un elettorato deluso e incattivito.
Alcune pessime premesse sono state per fortuna evitate. Le indiscrezioni della vigilia davano per esempio come papabile per il ministero del Lavoro Tommaso Nannicini, economista molto vicino a Renzi e tra i principali estensori del Jobs act: altro che “discontinuità”, sarebbe stata! A quel posto andrà invece Nunzia Catalfo, la “madrina” del cosiddetto reddito di cittadinanza. Una bella differenza. Ma il ruolo chiave è naturalmente quello di ministro dell’Economia, e anche per quel posto sono circolati nomi che avrebbero escluso a priori una svolta: per esempio quello di Carlo Cottarelli. Niente da dire sulla sua competenza, ma molto invece sul suo orientamento: con lui non ci sarebbero mai state politiche espansive, ha detto e ripetuto di ritenere necessario mantenere un saldo primario al 4% per anni. Avremmo vissuto in una depressione perenne o, in alternativa, liquidato quel poco di welfare che ci rimane.
La scelta è caduta invece su Roberto Gualtieri, non molto conosciuto in Italia ma assai popolare invece a Bruxelles, dove ha guidato finora (fin dalla scorsa legislatura) la commissione Problemi economici e monetari del Parlamento europeo. Gualtieri non è un economista, è uno storico, ma è uno che studia i dossier e ha una grande capacità di mediazione. Non a caso, in questa nuova legislatura, è stato rieletto a quella presidenza per acclamazione e in una classifica uscita qualche mese fa dei 100 europarlamentari più influenti (del sito Politico.eu) Gualtieri era al terzo posto. Se metà del lavoro da ministro è trattare con Bruxelles, di certo lui è tra le scelte migliori, se non addirittura la migliore.
Da alcuni a sinistra del Pd questa caratteristica non è vista come un punto a favore, tutt’altro. Nella posizione più delicata del governo – si dice – è stato piazzato un personaggio omogeneo a quell’Europa che non ci piace, quella dell’austerità e delle “riforme strutturali”, coinvolto nell’elaborazione di quelle “regole” che ci sono costate una depressione decennale. C’è chi addirittura lo definisce “uno dei padri del Fiscal compact”, visto che Gualtieri, data la sua posizione istituzionale, ha partecipato al processo di approvazione di quelle norme. Ma il Fiscal compact non è nato nell’Europarlamento, ma dalla volontà dei paesi rigoristi, Germania in primis, che lo hanno imposto a tutti gli altri. Neanche il presidente di una importante commissione parlamentare avrebbe potuto bloccarlo.
Si deve invece considerare che Gualtieri aveva scelto come capo della sua segreteria tecnica un economista niente affatto allineato alla teoria dominante. Si tratta di Ronny Mazzocchi, dell’università di Trento. Chi volesse sapere qualcosa del suo orientamento teorico può leggere un suo libro di qualche anno fa, “L’Europa non è finita”, scritto insieme a Massimo D’Antoni dell’università di Siena. Il sottotitolo è significativo: “Uscire dalla crisi rilanciando il modello sociale europeo”. Già, proprio quello che gli attuali leader sembrano aver dimenticato, quello che andava d’accordo con i principi della nostra Costituzione, a differenza del Trattato di Maastricht e successive integrazioni (in particolare il Fiscal compact).
Mazzocchi, per motivi personali, ha declinato l’invito a proseguire il suo lavoro al ministero. Diventa così rilevante l’orientamento dell’economista che sarà scelto per sostituirlo, visto che Gualtieri, non essendo un tecnico, terrà certo in considerazione i suoi consigli. E questo sarà decisivo per il modo in cui sarà svolta l’altra metà del lavoro, certo non meno importante e complessa, e cioè gestire il bilancio pubblico. Lì bisognerà vederlo alla prova, e non dovremo aspettare molto, visto che incombono la sessione di bilancio e la nota di aggiornamento al Def.
I nuovi ministri dovranno guadagnarsi un giudizio sul campo, ma ce n’è uno che appare particolarmente azzeccato: il ministro per il Sud Peppe Provenzano. Non solo perché è vice direttore della Svimez, e quindi di problemi del Sud se ne intende. Ma anche perché è uno di quelli – ormai pochi, purtroppo – che hanno un’idea non imbastardita di cosa sia una politica di sinistra. Anche in questo caso, per chi volesse conoscerlo meglio, c’è un suo libro da leggere, questo fresco di stampa: s’intitola “La sinistra e la scintilla” (ed. Donzelli). Una bella analisi di come la sinistra si sia smarrita e delle possibili soluzioni, che dovrebbero essere in gran parte condivisibili per chi sia di quell’orientamento.
Insomma, per quanto riguarda la compagine governativa un po’ di ottimismo si può azzardare, ed è la prima volta che capita da parecchio tempo. Certo, rimangono tutti i problemi – grossi – dei due partiti che sostengono l’esecutivo, rimane la situazione difficile dell’economia, rimane da vedere se nell’Unione europea cambierà davvero qualcosa. Molte incognite, molti ostacoli, un sentiero stretto. Ma rispetto a un mese fa, oggi c’è un filo di luce.