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 Politica economica Riduci

Dove vai se un governo
serio non ce l'hai?

Si dibatte se agonizzare nell'euro o affrontare un'uscita, secondo alcuni improponibile, ma comunque di certo rischiosa. Ma c'è un problema preliminare: questo governo, pessimo nelle sue politiche, non sarebbe certo in grado di gestire una situazione complessa e la politica economica che servirebbe è estranea ai suoi orizzonti

(pubblicato su http://facciamosinistra.blogspot.it/ il 19 ott 2016) 

Uno dei dibattiti più controversi che oggi agitano la sinistra è quello su un'eventuale uscita dall'euro. E' una premessa indispensabile per avviare a soluzione i nostri problemi o causerebbe una catastrofe economica, diventando un rimedio peggiore del male? Dall'una e dall'altra parte si avanzano motivazioni basate su problemi reali.

I sostenitori della seconda tesi, pur senza proporre numeri inattendibili come quelli prefigurati da Giorgio Lunghini, ipotizzano conseguenze non meno preoccupanti. Sostengono con Barry Eichengreen che un abbandono della moneta unica da parte dell'Italia sarebbe come "una Lehman al quadrato", con un effetto domino incontrollabile e un'ondata di fallimenti a livello globale. Che comunque non è affatto scontato l'automatismo fra svalutazione e rilancio delle esportazioni (come hanno mostrato casi recenti come Giappone, Argentina, Regno Unito e Brasile) e che non sarebbe possibile proteggere i salari reali, cosa che annullerebbe gli eventuali effetti positivi della svalutazione.

Gli altri ribattono che questi esiti disastrosi non sono realistici e che comunque l'alternativa (cioè rimanere nell'euro) provocherà all'Italia danni altrettanto gravi, anche se in un periodo più lungo. Su quest'ultima previsione entrambi gli schieramenti concordano: e dunque, cosa propongono coloro che ritengono improponibile l'uscita? Le proposte sono varie, dal concentrarsi sul cambiamento delle regole europee al semplicemente infischiarsere e attuare una politica espansiva anche se questo comporterebbe uno scontro con Bruxelles (e con Berlino) e il dover subire una procedura di infrazione.

C'è però un problema che mi sembra preliminare a qualunque strada si voglia prendere. Se, per scelta o in seguito a una crisi incontrollata - sempre possibile - il nostro paese uscisse dall'euro, bisognerebbe avere alla guida un governo capace di affrontare una situazione che, anche ammettendo che non sarebbe catastrofica, sarebbe però certamente molto difficile. Un governo capace di attuare politiche adeguate e anche di trattare con gli altri paesi. Quello che abbiamo al momento è il governo Renzi, che ha già dimostrato ad abundantiam una totale incapacità sia nell'una che nell'altra cosa. Gli errori nell'accettare norme a noi sfavorevoli e le sconfitte nel far passare le nostre richieste, anche quando erano tutt'altro che "rivoluzionarie", ormai non si contano più. Possiamo ricordare per esempio il metodo di calcolo dell'output gap: quello attuale è palesemente sbagliato e persino uno  studio della stessa Commissione ne ha riconosciuto l'inattendibilità. La nostra richiesta di cambiarlo non ha avuto alcun esito. E' noto che se utilizzassimo la metodologia dell'Ocse (dell'Ocse, non di un qualche centro studi "alternativo") ne risulterebbe che abbiamo raggiunto il pareggio di bilancio da un pezzo e anzi siamo in attivo. Invece si continua ad usare il metodo sbagliato e poi ci si "concede" qualche decimale di flessibilità, così da continuare a tenerci sotto schiaffo. Un altro esempio sono le norme sul bail in, per le quali non abbiamo ottenuto il periodo transitorio che chiedevamo. O lo strumento da usare per affrontare il problema delle quattro banche fallite (Etruria & c.): anche lì abbiamo dovuto subire. E l'elenco potrebbe continuare. Quanto alla politica economica finora seguita, i numeri disastrosi della nostra economia parlano da soli.

Un'uscita volontaria dall'euro - se si decidesse di intraprendere una tale impresa - richiederebbe un accurato lavoro di preparazione (teoricamente in segreto: ma siccome sarebbe impossibile, almeno dissimulato). Non solo per gli aspetti pratici-organizzativi, ma anche per non arrivare a quel passo con un'economia in stagnazione o peggio.

Chi ritiene improponibile l'uscita pensa in linea di massima a un rilancio degli investimenti pubblici senza curarsi degli "stupidi" parametri europei. Questa, al momento, sarebbe di certo la via più praticabile. L'attuale governo finge di volerla perseguire, ma continua a proporre bilanci pubblici che si muovono entro i recinti delle politiche imposte dall'asse Berlino-Bruxelles. Il teatrino delle contestazioni verte su sforamenti dello zero-virgola, del tutto insufficienti per dare fiato all'economia, ma necessari a provvedimenti che comprino il consenso ora di questa e ora di quella categoria, in modo da tamponare i palesi insuccessi delle politiche attuate finora. Politiche che hanno mobilitato mezzi consistenti: secondo il Rapporto sulla finanza pubblica pubblicato dal Mulino, circa 50 miliardi dal 2014 al 2017 (40 netti, considerando 10 di aumenti di imposte). Andando per cifre tonde, 30 miliardi sono serviti a ridurre le imposte alle imprese, tranne i 3,6 dell'abolizione di Imu e Tasi (e considerandoci anche il bonus assunzioni); dei 20 miliardi di spese, circa metà sono andati per gli 80 euro. Il risultato è quello che vediamo. Fossero stati usati in altro modo, qualche effetto l'avrebbero avuto.

Ma, così stando le cose, se a gestire un aumento consistente della spesa fosse questo governo, non ci potremmo aspettare di meglio. Se non cambiano i criteri della politica economica - e questo governo non sembra averne alcuna intenzione - anche spendere di più non risolverà granché.

Così, il dibattito "dentro o fuori dall'euro" è forse prematuro. Quello che è più urgente è avere un governo all'altezza della situazione, senza di che qualsiasi mossa non darà i risultati sperati. Come ci si riesce? Bella domanda. Ma, appunto, forse bisognerebbe prima di tutto concentrarsi su questo problema.


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