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 Politica

Mastella e il dispetto alla moglie

La minaccia di mettere in crisi il governo per evitare una riforma elettorale sgradita è probabilmente un bluff: gli effetti sarebbero deleteri per il centro sinistra e per il paese, ma non eviterebbero ciò che il leader dell'Udeur teme

(pubblicato su Eguaglianza & libertà il 15 apr 2007)

 

Come previsto e annunciato, Clemente Mastella minaccia di far cadere il governo se non si troverà il modo di evitare il referendum sulla legge elettorale e se non ci si orienterà verso soluzioni molto diverse da quelle che si otterrebbero in quel modo. Ora, persino Mastella dovrebbe riconoscere che c’è qualcosa che non va in un sistema in cui un “signor un-per-cento” può rendere inutile l’altro 49. Ma questo richiederebbe una qualche dose di senso dello Stato, e abbiamo già avuto ampie prove – non certo solo dal leader dell’Udeur – che in questa fase storica del nostro paese si tratta di una merce piuttosto rara.

 

In realtà, a guardar bene, Mastella sta probabilmente comportandosi come un consumato giocatore di poker, che, quando la partita gira male, coglie il momento più opportuno per lanciare il suo miglior bluff. Con le carte che ha in mano, Mastella può effettivamente far cadere il governo, ma niente di più: se lo facesse, si comporterebbe come Sansone che trascina nella morte tutti i Filistei, o, forse più prosaicamente ma con un paragone che si attaglia meglio al caso, come quel marito che per far dispetto alla moglie si tagliò gli attributi.

 

Cosa accadrebbe, infatti, se la minaccia fosse realizzata? Si andrebbe forse al voto con l’attuale legge? Niente affatto. Non solo il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha detto chiaramente che prima di votare di nuovo il sistema deve essere riformato, ma anche i maggiori partiti, che hanno dichiarato tutti di ritenere necessarie correzioni più o meno profonde, avrebbero le mani più libere – in particolare quelli del centro sinistra – per accordarsi su un nuovo sistema che elimini l’assurdo peso dei “partitini”.

 

Se Prodi cadesse, dunque, si formerebbe un governo “tecnico-istituzionale”, se non addirittura una Grande coalizione che necessariamente lascerebbe fuori le ali estreme e i partiti minori, al solo scopo di varare la riforma elettorale, che certo non uscirebbe come quella desiderata da Mastella.

Il quale, dunque, mancherebbe il suo obiettivo principale, ma scatenerebbe un paio di conseguenze che si potrebbero definire, con un eufemismo, assai poco desiderabili.

 

La prima sarebbe, ovviamente, la fine prematura del governo di centro sinistra. Che sarebbe stato in carica un anno solo per prendere una serie di provvedimenti che, pur se in buona parte certamente necessari, hanno fatto crollare la sua popolarità fra gli elettori. Gli effetti positivi di quei provvedimenti, che già si cominciano a vedere, non servirebbero così a recuperare un consenso che dovrebbe essere misurato sull’attività di tutta la legislatura.

 

La seconda conseguenza non riguarderebbe solo il centro sinistra, ma tutto il paese. Il “governo della legge elettorale”, Grande coalizione o istituzionale che fosse, non potrebbe certo gestire una politica, dovrebbe limitarsi all’ordinaria amministrazione. Il che significherebbe un nuovo rinvio, una enorme perdita di tempo che sarebbe almeno di un anno o un anno e mezzo, nell’affrontare i numerosi problemi del paese. Per ritrovarsi poi, magari, a dover gestire una nuova emergenza.

Un bravo giocatore di poker capisce quando il bluff non funziona e desiste, accettando la perdita per evitarne una più grossa. Ma Mastella, saprà giocare a poker?

 


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