Perché un telefono è diverso da un aereo
Chi sostiene che è irrilevante se la proprietà di Telecom passa all’estero non considera che è l’azienda italiana che spende di più in ricerca
(pubblicato il 5 apr 2007 su Repubblica.it e Kataweb)
I Bell Labs, i laboratori di ricerca della AT&T, sono diventati famosi per produrre un brevetto al giorno, 365 l’anno. Anche Telecom Italia, ovviamente, ha un settore ricerca, anche se le dimensioni non sono comparabili. Nel 2006 ha prodotto 63 brevetti, un po’ più di uno a settimana. Ma non sarebbe proprio il caso di farsi sfuggire magari un sorrisetto di compatimento. Nel 2006 gli investimenti industriali totali di Telecom sono stati di 5.114 milioni di euro, e i due terzi di questi, 3.200 milioni, sono stati destinati a “ricerca, sviluppo e innovazione”. Su un fatturato complessivo di gruppo di 31.275 milioni, significa giusto il 10%. Ebbene, è il caso di ricordare che lo stesso rapporto a livello nazionale (spesa per ricerca pubblica e privata rispetto al Pil) raggiunge a fatica l’1%, contro una media europea vicina al 2 e contro rispettivamente il 2,7 e il 3,2 di Stati Uniti e Giappone.
Ricordare che Telecom spende in ricerca circa il decuplo della media nazionale non sembra inutile nel momento in cui è in corso un dibattito fra i sostenitori dell’”italianità” dell’azienda e quanti affermano che il passaporto del proprietario non ha alcuna importanza, se il servizio fornito è buono. Tra questi ultimi va annoverato Bill Emmott, l’ex direttore dell’Economist diventato famoso in Italia per i suoi attacchi a Berlusconi, che ha affidato al Corriere della Sera un commento di sconcertante superficialità in cui sostiene che chi cercasse di ostacolare la vendita all’AT&T sarebbe soltanto “un mascalzone” e che, anche se proprietario diventasse uno straniero, “la ‘risorsa italiana’ non verrà smontata e portata via”. Ora, Emmott di sicuro ha ragione per quanto riguarda i cavi e le centrali, ma che se ne farebbe la AT&T del settore ricerca della Telecom, visto che di ricerca ne fa abbondantemente a casa sua? Tutto quel settore diventerebbe assolutamente superfluo, nella logica di una multinazionale alla costante ricerca di duplicazioni di costi da eliminare.
E allora, l’Italia avrebbe probabilmente un buon servizio di telefonia (probabilmente: non si vede perché dovrebbe essere scontato che la gestione AT&T sarebbe migliore dell’attuale), ma, con assai maggiore probabilità – per non dire con certezza – perderebbe il settore ricerca della Telecom, che sarebbe ridimensionato se non addirittura soppresso.
Ci sono casi in cui far di tutto per mantenere l’”italianità” delle aziende non è una questione di sciovinismo o di patriottismo, ma semplicemente un modo per evitare che il paese perda gli ultimi caposaldi dell’industria avanzata e si riduca ad essere nient’altro che la “Disneyland archeologica” del mondo. La Telecom è certamente uno di questi casi, a differenza per esempio di Alitalia, azienda di servizi che non è depositaria di particolari tecnologie, o di Autostrade (di cui, semmai, sarebbe da discutere la privatizzazione): qui sì vale il principio dell’indifferenza del passaporto del proprietario. Stupisce che molti non percepiscano quanto questi problemi siano diversi.