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 Finanza pubblica

Il terrorismo dell’Ocse

Gli ultimi dati diffusi dall’organizzazione parlano di un debito pubblico italiano che salirebbe vorticosamente fino a raggiungere il 365% del Pil nel 2050: per evitarlo bisogna tagliare tutto, pensioni, sanità, welfare. Ma il metodo dell’Ocse, dal punto di vista scientifico, vale zero. Allora perché dice queste cose? Viene da pensar male

(5 gen 2007)

Pensavamo che i nostri conti pubblici non fossero messi molto bene, ma adesso l’Ocse ci corregge: sono un disastro, una catastrofe, una voragine senza speranza. O si fanno riforme radicali, oppure il debito arriverà, nel 2050, al 365% del Pil. Un dato tanto enorme che non si riesce nemmeno a immaginare che cosa fare per evitarlo: alzare l’età della pensione a 80 anni, per esempio, e insieme chiudere tutti gli ospedali lasciandone solo uno ogni tre regioni.

 

ocseMW.gifPrima di prendere provvedimenti sull’onda della disperazione, però, sarà forse meglio vedere come è arrivata, l’Ocse, a risultati tanto spaventosi. Cosa non facile, perché l’organizzazione non è prodiga di spiegazioni metodologiche. Abbiamo contattato, nell’ordine: Enrico Giovannini, direttore delle Statistiche; Alexandra Bibbee, responsabile del desk italiano; David Rae, estensore dell’Euro area survey in cui appare quel dato; quest’ultimo ci ha dirottato su Boris Cournede, che finalmente ci ha dato qualche notizia.

 

A quel risultato, dunque, si arriva in due tappe. La prima sono le previsioni al 2012 contenute nell’Outlook (un altro studio periodico dell’Ocse) del novembre 2006. L’Outlook fa una stima dell’andamento futuro delle variabili macroeconomiche nel periodo considerato e poi ne calcola le conseguenze sui conti pubblici a politiche invariate. Già questo sarebbe sufficiente per considerare i risultati della ricerca una cosa da non prendere sul serio. In pratica, si prende come base lo stato dell’arte nell’ultima fase del disastroso periodo berlusconiano e si ipotizza che nei sei anni successivi non cambi niente, non venga presa nessuna decisione per correggere l’andamento dei conti pubblici. E’ chiaro che non è un giudizio sul futuro, ma sul passato. Serve per dire: ragazzi, così non va, guardate che succederebbe se non prendeste provvedimenti.

 

Letto in questo modo l’esercizio può essere accettabile, a patto che si chiarisca bene quali sono i suoi propositi e che quelle che ne risultano non sono cifre realistiche e neanche probabili, ma solo una sorta di lente di ingrandimento, una amplificazione delle tendenze per renderle più evidenti.

 

E’ nella seconda tappa, però, che si rasenta – anzi, forse si supera – l’assurdo. I risultati così ottenuti per il 2012 vengono “congelati” e replicati per un certo numero di anni, nel nostro caso ben 38, fino al 2050. Non si fanno nemmeno più previsioni sulle grandezze macro (forecast), che del resto non avrebbero alcun senso: vediamo bene che spesso i più accreditati istituti di ricerca – e anche gli Stati – fanno errori macroscopici un anno per l’altro, o addirittura un trimestre per l’altro, figuriamoci che attendibilità possono avere le previsioni a sei anni o – peggio – a più di 40. Non si fanno previsioni, dunque, ma una semplice “proiezione” (projection).

 

Riassumiamo. Nel caso dell’Italia, si prende l’lultimo periodo berlusconiano, il peggiore per la finanza pubblica da quasi tre lustri; si fanno le stime al 2012 “a politiche invariate”, ottenendo ovviamente un disastro: e si moltiplica questo disastro fino al 2050, ottenendo una catastrofe. E se invece avessero proiettato l’andamento di questi ultimi sei mesi? Probabilmente, invece che penultimi della classe (tra i paesi Ocse), ci saremmo magari piazzati secondi, o addirittura primi.

 

Insomma, l’esercizio dell’Ocse ha valore scientifico zero. Ma perché, allora, l’organizzazione manda in giro questi dati tanto terroristici quanto privi di fondamento? Francamente, viene da pensar male. Da pensare, cioè, che i dirigenti Ocse siano ancora imbevuti di quella cultura politico-ideologica che ha furoreggiato negli ultimi vent’anni del secolo e che vede nel welfare la causa di tutti i mali dell’economia. La cultura della Thatcher e dei neo-con, tanto per capirsi.

 

Se è così, sarebbe bene che i dirigenti Ocse si preoccupassare di spendere meglio i contributi che i paesi membri versano per il suo funzionamento. Producendo studi con meno ideologia e più rigore scientifico.

 

Post scriptum: qualche giorno dopo i dati dell'Ocse sono stati diffusi quelli di pre-consuntivo sul rapporto deficit/Pil italiano nel 2006: 2,5-2,6%. La previsione dell'Ocse a fine 2005 era stata del 4,2.


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