L’ultima barriera dell’ipocrisia
Piergiorgio Welby se n’è andato mentre la maggior parte del politici, sanitari e giudici coinvolti nel suo caso dava uno spettacolo miserando di affermazione di principi astratti e terrore di assumersi delle responsabilità concrete. Ora faranno di tutto per insabbiare il problema
(21 dic 2006)
Piergiorgio Welby se n’è andato come voleva, con un sedativo e il distacco del respiratore. Ma la battaglia che ha condotto con tutte le sue forze è ancora in stallo contro l’ultima barriera, quella dell’ipocrisia. Il suo caso ha costretto tutti ad uscire allo scoperto: di fronte ad una situazione concreta non basta più trincerarsi dietro i principi astratti, bisogna mostrare come nei fatti si intende applicarli. E quello che abbiamo visto è stato uno spettacolo che definire scoraggiante è dire poco.
La sera prima c’era stata una puntata di Porta a porta dedicata alla vicenda. Il cardinale Javier Lozano Barragàn, responsabile vaticano per la sanità, aveva fatto un discorso che, rispetto a ciò che siamo abituati ad ascoltare dalla Chiesa, appariva quanto mai avanzato: no alle cure quando si sa che non daranno risultato, no al mantenimento di una vita puramente vegetativa, “che non è vita”. Sembrava una posizione chiarissima, tanto che Bruno Vespa aveva avuto un sobbalzo: “Mi faccia capire bene, questo significa che nei casi di cui stiamo parlando ‘staccare la spina’ è lecito?”. Nonostante che Vespa lo incalzasse, Barragàn ha eluso la domanda su Welby, continuando a ripetere la posizione di principio; e quanto a Eluana Englaro, la ragazza che da oltre dieci anni è in stato puramente vegetativo e sopravvive solo perché viene nutrita forzatamente con una sonda, il cardinale ha sostenuto che quella non è una “terapia”, quindi non c’è accanimento.
Non parliamo della sentenza – di poco precedente – del magistrato romano, capolavoro di arte pilatesca. Sì, certo, Welby ha ragione, la Costituzione gli dà il diritto di rifiutare le cure, ma siccome questo diritto non è regolato dalla legge io magistrato non posso occuparmene. Questo giudice, Angela Savio, ha anche trovato modo di definire la vita “un bene non disponibile”. Chissà in quale codice l’ha letto. Non sarà disponibile per qualcun altro, ma io della mia vita devo poter disporre.
Di altrettanta totale mancanza di coraggio ha dato eccellente prova il ministro della Salute Livia Turco, che nella vicenda è apparsa come un asino in mezzo ai suoni. Per non assumersi alcuna responsabilità ha interpellato il Consiglio superiore della Sanità per sapere se nel caso di Welby ci fosse o no accanimento terapeutico. Ora, a parte che, come hanno sottolineato alcuni esperti, una cosa del genere non rientra nelle competenze del Consiglio; ma la domanda sembra quella di uno che si affaccia alla finestra e chiede a un passante se c’è il sole o sta piovendo. D’altronde, il Consiglio si è comportato di conseguenza, e ha risposto che c’era un bel sole mentre scrosciava la pioggia (ovvero, ha sostenuto che non c’era accanimento terapeutico). E che, avranno pensato gli esimi componenti, toccherebbe a noi togliere le castagne dal fuoco? Giammai!
In questa hit parade dell’ipocrisia merita una menzione anche Carlo Giovanardi, dell’Udc, anche lui presente a Porta a porta: non potendo negare il precetto costituzionale, se n’è uscito dicendo: “Ma se vuole togliere il respiratore, chi glielo impedisce? Se lo tolga, o lo faccia togliere alla moglie”. E la sedazione? Beh, quello no. Del resto nella Costituzione non c’è scritto.
Quanto a Rosy Bindi, ministro della Famiglia ma già alla Sanità, continuava a sostenere che il problema è che mancano le cure palliative. E’ vero ed è un problema fondamentale, ma nel caso specifico che c’azzecca? Poi ha pronunciato la parola “eutanasia” come se parlasse di qualcosa di rivoltante e ha affermato perentoriamente: “Sia chiaro, di eutanasia in questa legislatura non si parla, perché non è previsto nel programma di governo”. Speriamo che non arrivi un’alluvione, perché neanche quella è prevista nel programma di governo, quindi, presumibilmente, nella logica della Bindi non bisognerebbe intervenire in nessun modo.
In questo panorama desolante l’unico lampo di dignità è venuto dai magistrati della Procura di Roma, che non solo hanno dato un parere favorevole alla richiesta di Welby, ma hanno avuto il coraggio di ricorrere contro la sentenza della Savio, sostenendo che una decisione si poteva prendere eccome ed era anche chiaro quale dovesse essere.
Adesso che Piergiorgio Welby ha messo fine a quella che considerava una “non vita”, dando l’estrema dimostrazione di quanto fosse convinto di ciò che sosteneva, tutti questi campioni del palleggiamento faranno certamente di tutto per rinviare sine die la soluzione legislativa del problema. Ma non bisogna dimenticare che ci sono molti altri, tutti i giorni, in situazioni simili a quella di Welby, a cominciare dal corpo di quella che fu Eluana Englaro. E che a ognuno di noi potrebbe capitare qualcosa di simile.
vedi anche: Indecisi a tutto
I crudeli pasdaran della vita
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