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Politica economica
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Ma guarda, con più deficit
il debito cala
Quest’anno il disavanzo dei conti pubblici sarà al 9,4% e resterà alto anche nei prossimi due. Eppure, come ci dicono le cifre del governo, il rapporto debito/Pil scenderà. E’ una dimostrazione di quanto siano state sbagliate le politiche europee e le regole – ora sospese – che le prescrivevano. Ma non è detto che questo basterà a farle cambiare
Istruttivi i numeri della Nadef (Nota di aggiornamento al documento di economia e finanza). C’è da rallegrarsi per quella crescita al 6% che supera non di poco le precedenti previsioni, certo. Ma soprattutto si farebbe bene a meditare su quello che ci dicono rispetto alle politiche del passato e alle regole europee di bilancio che le hanno guidate.
Il governo prevede dunque per quest’anno una crescita del 6%, con deficit di bilancio altissimo, il 9,4%. Accipicchia, ma ce lo possiamo permettere con quel debito pubblico che nel 2020 è arrivato al 155,6% del Pil? Dove arriverà quest’anno? E il prossimo?
Beh, quest’anno scenderà, e il prossimo pure. Sono sempre i numeri della Nadef a dircelo. Per quest’anno è stimato al 153,5, per il prossimo al 149,4. Merito di un forte surplus di bilancio? Macché: nel 2022 il deficit sarà ancora del 5,6%, nel 2023 del 3,9 (e il debito scenderà ancora, al 147,9).
Può stupirsene solo chi dimentica che stiamo parlando di un rapporto: non del debito in cifra assoluta (che continuerà a salire), ma del suo rapporto con il Pil. Se il denominatore (il Pil) cresce più del numeratore (il debito), il rapporto ovviamente diminuisce. E come mai avviene questo? Perché la spesa pubblica spinge l’economia, con buona pace degli “austeritari”. (segue)
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Politica economica
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I mistificatori del debito pubblico
Davvero è quello il nostro problema più grande? Stiamo scaricando un peso sui nostri figli e sulle generazioni future? A entrambe le domande la risposta è un secco “no”, senza ombra di dubbio. Purtroppo le regole europee, ora per fortuna sospese, sono state elaborate in base a questa ottica sbagliata e c’è anche il rischio che si voglia tornare a qualcosa di simile. Sarebbe una pessima mossa. Nel frattempo, qualche economista e molti opinionisti dovrebbero smetterla di dire sciocchezze
Non passa giorno che non si senta in televisione qualche economista che ci rimprovera di “scaricare sui nostri figli l’enorme onere del debito pubblico”. Commentatori e opinionisti di ogni genere fanno coro: il debito pubblico è un mostro che abbiamo creato, che minaccia continuamente di divorarci e di far finire lo Stato in bancarotta. E’ il nostro primo problema, il più drammatico, il più importante. Le nostre forze e il nostro impegno devono prima di tutto puntare a ridurlo, ad ogni costo. A costo di tagliare lo Stato sociale? Ma certo. A costo di lasciare qualche milione di persone senza lavoro? Che ci vuoi fare… A costo di avere, in uno dei paesi più ricchi del mondo, qualche milione di famiglie in povertà? Così va il mondo.
E però: a costo di imporre una patrimoniale? Non sia mai! A costo di aumentare le tasse ai più benestanti? Non scherziamo, le tasse vanno ridotte. Ma allora non è “a tutti i costi”: solo a certi determinati costi. (segue)
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Politica
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L’altro discorso di Draghi
Trovata per caso la minuta di un ex allievo di Caffè a cui il neo presidente del Consiglio aveva chiesto suggerimenti, che poi non ha seguito, scegliendo invece quelli di Giavazzi. Le dichiarazioni programmatiche sarebbero state molto diverse
Mentre veniva svuotato un bidone della spazzatura di Palazzo Chigi sono saltati fuori dei fogli che si sono rivelati essere una minuta del discorso che Draghi avrebbe fatto in Senato. Come spesso avviene in questi casi, Draghi aveva steso di suo pugno una parte e chiesto suggerimenti a due amici fidati: un vecchio compagno di studi che aveva seguito con lui le lezioni di Federico Caffè, di cui non facciamo il nome, e Francesco Giavazzi. Entrambi hanno elaborato dei testi da inserire in tutto o in parte nel discorso, poi Draghi ha scelto, sappiamo quale dei due. Grazie ad una nostra fonte segretissima siamo riusciti ad avere una copia dell’altra minuta: se avesse scelto quella, il discorso sarebbe stato molto diverso. Eccone i brani di maggior rilievo.
Signori Senatori,
Il primo pensiero che vorrei condividere, nel chiedere la vostra fiducia, riguarda la nostra responsabilità nazionale. Il principale dovere cui siamo chiamati, tutti, io per primo come presidente del Consiglio, è di combattere con ogni mezzo la pandemia e di salvaguardare le vite dei nostri concittadini.
Ma assolto questo compito, il dovere del governo torna quello che così bene è stato espresso nell’articolo 3 della nostra Costituzione: “E` compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese”. (segue)
Perché l'esempio danese? Si scrive Draghi, si pronuncia Giavazzi
Vedi anche: Draghi bifronte
Draghi proposta che non si può rifiutare
Draghi comincia male
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Europa
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La solidarietà europea
è in cambio di sudditanza
Dopo l’intervento di Lucrezia Reichlin è il membro del board Bce Yves Mersch a chiarire in che consista la “solidarietà europea”. La Bce – dice – deve smetterla di tenere i tassi così bassi, altrimenti gli Stati si finanziano sul mercato e non con il Recovery e il Mes, evitando di sottoporsi alle condizionalità, cioè di farsi dirigere da altri
Era un vero e proprio avvertimento quello lanciato nell’intervento di Lucrezia Reichlin sul Corriere della Sera. Reichlin è un’economista ben addentro agli organismi istituzionali e sa, quindi, che cosa si muove nelle stanze dove si prendono le decisioni.
Il ruolo che sta svolgendo la Bce, scriveva Reichlin, è reso possibile dal fatto che si è raggiunto in Europa un consenso politico sul modo di affrontare la crisi. Questo consenso è basato anche sull’uso degli strumenti approntati per questo scopo, e quindi se alcuni paesi rifiutano di utilizzarli il consenso potrebbe incrinarsi, e questo si rifletterebbe sulla libertà di azione che è stata data alla banca centrale. Reichlin citava espressamente l’Italia, dove c’è una forte area di opposizione al Mes (a livello politico i 5S e i partiti di opposizione, ma fiancheggiati da un gran numero di economisti dei più vari orientamenti politici), e la Spagna, che non intende ricorrere ai prestiti del Recovery Fund e sfruttare solo la parte cosiddetta “a fondo perduto”.
Bene, una recente dichiarazione di un rappresentante dei paesi definiti “frugali” fa capire che quella non è solo una supposizione dell’economista, ma proprio il tema del prossimo scontro, di quelli che si svolgono nelle stanze del potere e di cui all’opinione pubblica giungono solo brandelli di notizie. (segue)
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Stato sociale
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La sinistra che smonta il welfare
Il ministro Speranza ha ripescato il progetto dei ticket sanitari differenziati a seconda del reddito. Può sembrare un provvedimento “di sinistra”, invece è una pericolosa mina per il modello di welfare universalistico. Su questa strada si va verso il modello americano, in cui si aiutano solo i “poveri” e i servizi scadono di qualità e possono essere ridotti a discrezione del governo di turno
Ci voleva un ministro – Roberto Speranza – di un partito considerato “di sinistra radicale” per ritirare fuori un provvedimento, quello sui ticket sanitari in base al reddito, già proposto cinque anni fa dal governo Renzi e per fortuna mai entrato in vigore. Il che la dice lunga sulla confusione mentale (a voler essere buoni) o sul proseguimento della deriva liberista (a esser meno buoni) di giovani dirigenti cresciuti nell’epoca della sciagurata “Terza via” cha ha portato al disastro i partiti socialisti e socialdemocratici di quasi tutta l’Europa.
Prima di riproporre l’articolo scritto allora non si può non osservare che, se questo accade, è un preciso segnale che la riflessione sulle cause che hanno portato la sinistra storica a perdere il “suo popolo” non è stata fatta, e non solo da parte dei più giovani. E che dunque rimane una incapacità di comprendere gli effetti di certe decisioni sul lungo periodo, cioè sulla struttura dell’organizzazione sociale. Senza questa analisi, qualsiasi proclama di “svolta” e di “cambiamento” rimarrà privo di contenuto reale e si continuerà a spianare la strada al populismo di destra.
Ecco dunque l’articolo scritto nel 2014. Purtroppo (a parte il fatto che Sergio Marchionne non era ancora scomparso) non c’è nulla da cambiare. (segue)
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Politica economica
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La Germania mal guidata
rischia il declino
Investimenti al minimo storico nonostante i tassi negativi sul debito e l’enorme surplus dei conti esteri. Eppure, secondo centri studi come Bruegel e Centre for European Reform, ce ne sarebbe bisogno, nelle infrastrutture e nel sistema educativo. E servirebbero a far stare meglio i tedeschi, che punendo alle elezioni i partiti di governo hanno mostrato il malessere per il numero crescente di lavoratori con bassi salari
Il grafico è semplicissimo, appena due linee. L’ha pubblicato su Twitter Christian Odendahl, capo economista del Centre for European Reform, accompagnato dalle poche parole caratteristiche del mezzo. Ma è quanto basta per far capire l’assurdità della politica economica tedesca, quella che Berlino e i suoi alleati hanno di fatto imposto a tutta l’Unione europea.
Prima di parlare di questo è bene sapere che questo think-tank britannico, nella sua presentazione, si definisce “pro-European but not uncritical”, europeista ma non acritico, considera l’integrazione europea “largely beneficial” ma ritiene che “per molti aspetti l’Unione non funzioni bene”. Ne consegue che le sue intenzioni sono di fare critiche costruttive, questo centro non è un nemico dell’UE.
Ma torniamo al grafico, che mostra gli andamenti dei tassi d’interesse sul Bund, il titolo tedesco a dieci anni, e degli investimenti pubblici in Germania. (segue)
Vedi anche: Daniel Gros: "La fine dell'egemonia tedesca"
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Politica economica
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Robin contro l’output gap
Altro che Robin Hood, il nostro eroe è Robin Brooks, che dal cuore delle istituzioni del potere fa la guerra all’uso di quelle stime che si usano per dare giudizi sulle politiche di bilancio, dimostrando a suon di grafici che producono risultati assurdi. Se persino gli economisti mainstream mostrano l’insensatezza di questi strumenti, il potere perde qualsiasi alibi per le sue scelte, fatte per favorire i pochi vincenti del turbocapitalismo
Altro che Robin Hood, il nostro eroe è Robin Brooks. Che non è un ribelle che vive nascosto, anzi: è – pensate un po’ – un economista mainstream. Laurea a Yale, master alla London school, poi Fondo monetario (8 anni) e Goldman Sachs. E ora è capo economista all’Iif, Institute of International Finance, che magari non è molto conosciuto dal grande pubblico, ma è tra le più importanti lobby della finanza: basti sapere che ha rappresentato le banche nei negoziati sul regolamento di Basilea 3 e i creditori in quelli sul debito greco del 2011-12. Insomma, un personaggio che si muove nelle stanze del potere, il potere vero.
E come mai ci piace tanto? Perché ha iniziato una battaglia contro l’utilizzo, da parte della Commissione europea e del Fondo monetario, dell’output gap, che è uno dei meccanismi infernali utilizzati per dare giudizi sull’economia di un paese e decidere i limiti della sua politica di bilancio. Brooks ha persino coniato un acronimo, CANOO, che sta per Campaign against Nonsense Output Gaps, ossia Campagna contro gli insensati output gaps, e produce grafici che mostrano come questo parametro sia completamente sballato e il suo utilizzo abbia effetti devastanti sulle politiche economiche. (segue)
Vedi anche: Cambiare le regole Ue? Chiedere a Bruegel
Secondo i conti Ue stiamo crescendo troppo
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Lavoro
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Come evitare le trappole
del salario minimo
Esiste in tanti paesi, ma nella situazione italiana può creare problemi. A meno di non arrivarci con una legge che regoli prima di tutto la verifica di quali sindacati – e quali associazioni datoriali – siano davvero rappresentative, cosa ormai non più rinviabile: a causa di una miriade di sindacati e associazioni di comodo è stata superata la mirabolante cifra di 900 contratti nazionali di lavoro
Provate a chiedere a una persona qualunque quanti sono i contratti nazionali di lavoro. Ho fatto questo esperimento, mi hanno risposto una ventina. No, di più. Trenta? Quaranta? No, di più, molti di più. Cento? Duecento? Macché. Al Cnel, dove vengono registrati, dicono che ormai è stata superata la mirabolante cifra di novecento! E per di più il loro numero sembra destinato ad aumentare ancora: solo un paio d’anni fa erano circa 750.
E’ chiaro che c’è qualcosa che non va, anzi, più di qualcosa. Il fatto è che la grande maggioranza di questi contratti è una sorta di truffa, sono stipulati da sindacati di comodo e altrettanto improbabili associazioni padronali. (segue)
La Torino-Lione L’economia è una Blanchard: il debito pubblico
non vale una guerra scienza inutile? non è poi così male
Ashoka Mody: come uscire Sanders, Corbyn, Zingaretti Anche i Draghi
dall’“Eurotragedia” Trova l’intruso sbagliano
I dazi non ci sono, il dumping sì
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Economia
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La lezione del QE
(che non sarà ascoltata)
Il quantitative easing, l’acquisto di titoli sul mercato da parte della Bce, volge al termine e se ne può fare un bilancio. Ha certamente evitato il peggio, ma non si può dire che abbia ottenuto i risultati che si era proposto. Soprattutto, è stato una grande prova empirica degli errori delle teorie economiche dominanti
(pubblicato su Micromega-online il 28 set 2018)
Il quantitative easing (QE), ossia l’acquisto straordinario di titoli di Stato e obbligazioni societarie da parte della Bce, sta per finire. Che bilancio se ne può fare?
Dei suoi effetti sull’economia si è già molto discusso, e se ne può fare un breve ricapitolo. Poco si è parlato, invece – almeno fuori dalle accademie – di un’altra conseguenza, di importanza anche maggiore, perché da essa dovrebbe derivare un rovesciamento delle politiche economiche europee. Che non sta avvenendo e non avverrà, cosa per cui ci sono motivi che si possono individuare.
Lo scopo dichiarato del QE era quello di ripristinare una corretta trasmissione della politica monetaria, evitare i pericoli di deflazione stimolando l’economia e riportare l’inflazione “sotto, ma vicina, al 2%”: quest’ultimo era forse quello considerato più importante, vista la missione affidata alla Bce dal suo statuto. Oggi, dopo tre anni e mezzo (il QE è iniziato nel marzo 2015), l’inflazione è intorno a quel livello in vari paesi dell’eurozona e nella media era proprio al 2% secondo gli ultimi dati (luglio), anche se quella cosiddetta “core”, cioè depurata dalle componenti più volatili (energia, cibi freschi, alcool e tabacchi) segnava solo + 0,9%. (segue)
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Politica
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La Patria è di destra
o di sinistra?
Ennesima polemica a sinistra, scatenata dal fatto che Stefano Fassina ha chiamato la sua associazione culturale “Patria e Costituzione”, attirandosi subito l’accusa di “rossobrunismo”. Chi la lancia non sa quel che dice, anche se l’uso di quel termine è discutibile, ma per ragioni del tutto diverse
La sinistra dispersa e litigiosa ha trovato un nuovo motivo di divisione e di insulti. L’occasione è stata la costituzione di una nuova associazione culturale, promossa da Stefano Fassina con Alfredo D’Attorre e un nutrito gruppo di intellettuali, che ha lo scopo di incidere sul dibattito politico costruendo una cultura per la sinistra dell’attuale momento storico. Ma a scatenale le polemiche è stato soprattutto il nome, che Fassina ha scelto nonostante i dubbi avanzati da alcuni partecipanti alla discussione: “Patria e Costituzione”. Tanto è bastato per attirare l’insulto di moda, peggiore anche di “populismo” e “sovranismo”, ossia quello di “rossobrunismo”, cioè un ibrido tra posizioni di estrema sinistra ed estrema destra.
Se usare il termine “Patria” basta per essere accusati addirittura di filo-nazismo (le “camicie brune”, come si ricorderà, erano appunto i nazisti), bisogna dire che il dibattito politico è scaduto a livelli inferiori a quelli di un Bar Sport. (segue)
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Europa
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Draghi spiega la finanza
ai tedeschi
Il presidente della Bce chiarisce che “la dicotomia tra “riduzione del rischio” e “condivisione del rischio” che caratterizza il dibattito attuale è, per molti versi, artificiosa. Con una giusta cornice politica, questi due obiettivi si rafforzano vicendevolmente”. Un messaggio a quei tedeschi e francesi che fanno progetti ma non capiscono le dinamiche di mercato. Il “saggio” tedesco Bofinger invece le capisce e anche lui boccia i progetti
Mentre l’Italia è assorta nel seguire le evoluzioni del quadro politico, in Europa si continua a discutere di una questione ancora più importante per il nostro futuro, ossia la riforma delle strutture dell’Unione. Merkel e Macron hanno annunciato un loro progetto congiunto entro giugno, e si sa che – al di là di qualsiasi aspetto formale – quella su cui ci sia l’accordo di Germania e Francia è in pratica “una proposta che non si può rifiutare” (l’assonanza con altre situazioni è voluta).
Le riforme di cui si parla si stanno evolvendo in un modo che provocherebbe al nostro paese una crisi forse peggiore di quella del 2011-12, che si potrebbe persino propagare all’intera eurozona. Il fatto è che i politici, ma anche i loro economisti di riferimento, sia tedeschi che francesi, nonostante la loro adorazione per il “dio mercato” stanno dimostrando di non aver capito come il mercato funziona, specialmente quello della finanza. Ci ha dovuto pensare Mario Draghi, qualche giorno fa, a spiegarglielo, come suo solito con un discorso in cui il livello di diplomazia è persino più raffinato di quello tecnico. Quattro giorni dopo ancora più chiaramente si è espresso Peter Bofinger, uno dei “cinque saggi” tedeschi; anzi, dovremmo dire l’unico saggio dei cinque, visto che le posizioni degli altri sono del tutto consonanti con l’impostazione non si sa se più sbagliata o più criminale che ha seguito finora la politica europea. (segue)
Vedi anche: Otto piccoli euroegoisti
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Lavoro
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Lavorare meno,
fare la fame (quasi) tutti
Lo slogan sindacale degli anni ’70 è stato realizzato dal capitalismo del terzo millennio, ma a suo modo. Con l’ingresso sul mercato dei lavoratori dei paesi di nuova industrializzazione, in tutti quelli già sviluppati va scomparendo il “posto fisso”, scendono le ore lavorate e calano le retribuzioni per la maggioranza, mentre una quota minoritaria guadagna più di prima. E’ il risultato della grande svolta a destra degli anni ‘80
“Lavorare meno, lavorare tutti”. Quando Pierre Carniti lanciò questo slogan, negli anni ’70, non poteva certo immaginare che il capitalismo del terzo millennio lo avrebbe realizzato, ma in modo molto diverso da quello che il carismatico ex leader della Cisl aveva in mente. In tutto il mondo – salvo eccezioni – le ore lavorate in un anno per occupato scendono e c’è più gente che lavora, ma non c’è traccia del miglioramento della qualità della vita a cui puntava Carniti; anzi, accade il contrario.
Da allora è passato quasi mezzo secolo, e quello di oggi è un altro mondo. Il posto di lavoro classico, sei o cinque giorni alla settimana a tempo pieno, con un orario sempre uguale e una relativa sicurezza che così sarebbe stato fino alla pensione, riguarda ormai sempre meno persone. (segue)
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Lavoro
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Chi ruba il lavoro ai giovani
Gli economisti discutono se l’allungamento dell’età pensionabile riduca le nuove assunzioni e due recenti ricerche sostengono che questo può avvenire in situazioni particolari, e infatti in Italia è avvenuto. Ma non è questione di studiare casi specifici: il punto è se si sceglie come obiettivo la piena occupazione o si accetta un’organizzazione sociale che sconta che ci siano disoccupati
“E’ una società stolta e miope quella che costringe gli anziani a lavorare troppo a lungo e obbliga una intera generazione di giovani a non lavorare quando dovrebbero farlo per loro e per tutti”. Le parole del Papa hanno rilanciato un dibattito che impegna da tempo economisti, politici e sindacalisti. Gli anziani tolgono il lavoro ai giovani? Le due posizioni contrapposte, di chi ne è convinto e di chi lo nega, hanno ancora i loro militanti, specie tra gli economisti con indefettibili convinzioni ideologiche (come il direttore dell’Istituto Bruno Leoni, Alberto Mingardi), ma oggi sembrano tendere a un compromesso, come mostra nella sua ottima rassegna sull’argomento Nicola Salerno (economista che lavora all’Ufficio parlamentare di bilancio). (segue)
Vedi anche: Cercasi ingegnere triligue, tirocinio a 600 euro
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Politica
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Lo Stato sfruttatore
La vicenda degli “scontrinisti” della Biblioteca nazionale è l’ultimo di moltissimi episodi analoghi, che vanno letti entro una tendenza di lungo termine. La riduzione del perimetro pubblico va avanti da anni, lo Stato esternalizza i suoi servizi affidandoli ai privati che li svolgono attraverso cooperative e enti del Terzo settore. Chi ci lavora è per lo più precario, malpagato e con pochi diritti. Si risparmia? No, in molti casi si spende di più
La vicenda degli “scontrinisti” della Biblioteca nazionale era appena esplosa quando al Forum della PA sono stati diffusi i dati sui dipendenti pubblici, da cui è risultato che sono diminuiti di 237.000 unità negli ultimi dieci anni. Sembra tanto, ma non è tutto.
Quando furono pubblicati i dati del censimento 2011 ci fu chi si prese la briga di fare un confronto con i dati del censimento precedente, quello del 2001. Riportiamo un brano da quell’articolo di Attilio Pasetto.
“Il cambiamento più rilevante è la crescita del Terzo settore a scapito della pubblica amministrazione. Le istituzioni pubbliche sono infatti diminuite in dieci anni del 21,8% in termini di unità e dell’11,5% come addetti, a fronte di aumenti, rispettivamente, del 28% e del 39,3% delle istituzioni non profit. (…) I due fenomeni speculari - arretramento della PA e crescita del non profit - si colgono in maniera evidente nel sistema di welfare. Nel settore dell’istruzione le istituzioni non profit contano nel 2011 per il 13,1% in termini di addetti, con un aumento del 76,3% rispetto al 2001. Il ruolo della PA rimane preponderante, con l’81,5%, ma in calo del 10,3% sul 2001. Nella sanità e assistenza sociale il non profit ha un peso molto alto, pari al 24%, con una crescita in dieci anni del 47,2%, a fronte di un peso della PA sceso al 43,5% per effetto di un calo dell’8,6%. Occorre aggiungere che in entrambi i settori cresce anche il ruolo delle imprese private, con incrementi dal 2001 al 2011 del 21,9% nell’istruzione e del 40% nella sanità. In quest’ultimo comparto il peso delle imprese private raggiunge ora il 32,5%”. (segue)
Vedi anche: Lo Stato abbattuto dai "volontari"
La privatizzazione cattolica del welfare
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Politica
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Europa, 60 mal portati
Le belle parole del vertice di Roma non cambiano la realtà di un'Unione fortemente caratterizzata dall'ideologia liberista dove la competitività e il controllo dei prezzi valgono più dell'occupazione e del benessere, in contrasto con lo spirito della nostra Costituzione. Ma buona parte della classe dirigente italiana è in sintonia con questa visione e sembra non capire che farsi governare da altri non è mai un vantaggio. Non si tratta di tornare al nazionalismo, ma al controllo democratico
C'è chi con l'età diventa più saggio e tollerante, e chi invece sempre più acido, rigido e pretenzioso, rischiando di divenire inviso anche a chi gli voleva bene. Se l'Europa fosse una persona ricadrebbe in questo secondo caso. L'immagine di popoli che si legavano sempre più tra loro in nome della pace e di una maggiore prosperità e aiutavano chi era più indietro a migliorare la sua condizione man mano è diventata quella in cui alla solidarietà si è sostituita la competizione, alla pari dignità l'egemonia di qualcuno su tutti gli altri, all'aiuto a chi è in difficoltà l'imposizione di penitenze, secondo torti e ragioni stabiliti dalla logica del più forte. (segue)
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Lavoro
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Licenziati per profitto
Una sentenza della Cassazione ribalta i criteri in base ai quali si stabiliva il "giustificato motivo" del licenziamento: non conta se l'azienda è in difficoltà, sulla tutela del posto di lavoro prevale quella della libertà imprenditoriale. Un'interpretazione forzata della Costituzione che risponde ai paradigmi della cultura politico-ideologica dominante
L'aumento del profitto è più importante del mantenere un posto di lavoro. Nei giorni scorsi una sentenza della Cassazione (segnalata da Italia Oggi e ripresa da Repubblica) ha convalidato un licenziamento motivato con il perseguimento di una maggiore efficienza da parte di un'azienda né in crisi né in passivo. Questa la frase-chiave della motivazione:
"Ai fini della legittimità del licenziamento individuale intimato per giustificato motivo oggettivo, l'andamento economico negativo dell'azienda non costituisce un presupposto fattuale che il datore di lavoro debba necessariamente provare ed il giudice accertare, essendo sufficiente che le ragioni inerenti all'attività produttiva ed all'organizzazione del lavoro, tra le quali non è possibile escludere quelle dirette ad una migliore efficienza gestionale ovvero ad un incremento della redditività dell'impresa, determinino un effettivo mutamento dell'assetto organizzativo attraverso la soppressione di una individuata posizione lavorativa". (segue)
Vedi anche: Licenziati per profitto/2 - Intervento di Nicola Acocella e Riccardo Leoni
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Politica economica
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Incapaci o criminali
Altro che il '29!
Se si guardano i dati di lunghissimo periodo Istat-Bankitalia ci si accorge che questa crisi è enormemente più grave di quella passata alla storia come "Grande". Non dappertutto, però: in Europa peggio che altrove e in Italia peggio che in Europa. Che dipenda dalle politiche non c'è dubbio e ne resta solo uno: incapacità o disegno scellerato?
Si continua a dire che questa è "la più grande crisi dell'ultimo secolo dopo quella del '29". Beh, l'affermazione è corretta solo se con quel "dopo" si indica l'ordine cronologico, perché questa crisi non è comparabile a quella: è molto più grave. Per verificarlo basta guardare un paio di grafici che Nicola Salerno ha tirato fuori dalle serie storiche Istat-Bankitalia. Il primo mostra l'andamento del Pil pro capite dall'unità d'Italia al 2015. Eccolo qui a fianco.
Come si vede, quando si prendono i dati di lunghissimo periodo le cose cambiano aspetto, e la crisi del '29 diventa un ribassino della curva paragonabile al massimo alla crisi petrolifera degli anni '70. L'unco forte arretramento è quello corrispondente alla seconda Guerra mondiale, dopo la quale il Pil pro capite inizia una volata lunga più di cinquant'anni, con qualche episodico arretramento che non modifica il trend ascendente.
Nel 2008, però, si spalanca l'abisso. La discesa è quasi il doppio di quella della guerra, e quella che chiamano "ripresa" è solo un arresto della caduta con un rialzino a stento percettibile. Dopo la crisi del '29, a quest'ora, avevamo recuperato. (segue)
Vedi anche: Altro che il '29/2 - Partono i bastimenti
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Economia
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Italia '90-'95,
gli anni della svolta
In quel quinquennio, iniziato con il Trattato di Maastricht, proseguito con la crisi finanziaria e di conseguenza la moderazione salariale, le privatizzazioni, il bilancio pubblico in saldo primario, comincia a cambiare concretamente il modello sociale ed economico costruito nei decenni precedenti
Per il numero dei 30 anni di Affari & Finanza mi era stato chiesto un articolo su questo periodo, ma non ci si era chiariti sul fatto che dovesse essere focalizzato essenzialmente sulle banche. Così, dopo i primi capoversi, ho modificato quello poi uscito sul giornale il 24 ottobre 2016 (che trovate qui). Ma pubblico anche questo perché penso che anche altri eventi che non entravano nelle 80 righe prescritte (...i limiti dell'informazione su carta) meritino di essere ricordati, seppure in poche righe.
Nel corso del 1990 due Consigli europei definivano quello che sarebbe stato il Trattato di Maastricht, che sarebbe stato approvato nella cittadina olandese il 9 dicembre 1991 e firmato ufficialmente il 7 febbraio dell'anno successivo. L'elaborazione avveniva l'anno dopo la caduta del Muro di Berlino, e questo non è senza significato. Quella che era stata considerata l'alternativa al capitalismo era fallita, sconcertando anche i socialdemocratici che pure non avrebbero dovuto sentirsi toccati dalla fine di un'idea politica che in teoria avevano da tempo ripudiato. Così, anche le sinistre riformiste si arresero a quella che appariva l'ideologia vincente: senza riflettere sul fatto che le teorie economiche allora egemoni (e purtroppo ancora oggi) rappresentavano solo una delle possibili forme di capitalismo, e per giunta quella più intrinsecamente reazionaria. Gli anni '90 dell'Italia vanno visti attraverso questa chiave di lettura: è allora che inizia la trasformazione, tuttora in atto, del modello sociale costruito in Europa nel dopoguerra. (segue)
E Scalfari disse: "Andiamo alla Magliana"
Affari & Finanza compie 30 anni. Un ricordo di quando nacque
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Politica economica
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Nel Sud salari troppo alti?
Come no...
Uno studio di Andrea Ichino, Tito Boeri e Enrico Moretti sostiene che i salari minimi fissati nei contratti nazionali avvantaggiano gli occupati del sud e impediscono lo sviluppo dell'area. Ma, a parte vari problemi metodologici, un'indagine Bankitalia mostra che nel settore privato meridionale già ora si guadagna molto meno che al Centro-Nord. L'obiettivo della ricerca appare dunque più politico che scientifico
Sono i contratti nazionali la rovina del Sud? Lo affermano, in uno studio ancora non pubblicato, tre noti economisti: Andrea Ichino, dell'Istituto universitario europeo di Firenze, che ha presentato la ricerca al Festival dell'economia di Trento; Tito Boeri, della Bocconi, attualmente presidente dell'Inps; e Enrico Moretti, dell'Università di California, un cui saggio del 2013 (“La nuova geografia del lavoro”) ha suscitato grande interesse negli Usa, tanto da farlo convocare alla Casa Bianca per parlarne. Ichino è fratello di Pietro, alfiere delle proposte per il "superamento" dell'articolo 18 (detto in volgare: per facilitare i licenziamenti) che poi sono state sostanzialmente recepite nel Jobs act del governo Renzi. E dunque nelle proposte dei tre (d'ora in poi, IBM: la consonanza con la multinazionale è casuale) si coglie una certa aria di famiglia. (segue)
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Politica economica
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La politica che aiuta i ricchi
Tre semplici grafici sugli andamenti della diseguaglianza, del numero dei ricchi e di quello del poveri nell'ultimo mezzo secolo mettono in evidenza gli effetti delle politiche che si sono diffuse in tutto il mondo dopo la svolta neo-conservatrice dell'inizio degli anni '80. In Italia la svolta avvenne con la crisi del '92
Si è detto e scritto moltissime volte che le politiche economiche che hanno cominciato a conquistare l'egemonia nel mondo a partire dagli anni '80 del secolo scorso sono intrinsecamente di destra, ossia a vantaggio dei pochi e a danno della maggioranza. Si è detto tante volte che sembrerebbe inutile ripeterlo, se non fosse che le formazioni politiche che agiscono in base a quei principi continuano ad essere al potere in tutti i paesi avanzati. Perciò, quando capitano sotto gli occhi dei grafici che rendono ancor più evidente ciò che per molti ancora non lo è, vale la pensa di diffonderli, hai visto mai che provocassero qualche ripensamento.
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Politica economica
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Riforme del lavoro sbagliate
Lo dice uno studio del Tesoro
Un paper pubblicato dal ministero dell’Economia esamina il mercato del lavoro dal ’97 (“Pacchetto Treu”) alla legge Fornero, per valutare gli esiti dei cambiamenti. Conclusione: “La dinamica occupazionale è peggiorata, la flessibilità è una trappola”
Le riforme del lavoro fatte finora sono state un fallimento. A dirlo non è la Fiom o un qualche studioso “antagonista”, ma uno studio del ministero dell’Economia, che non ha avuto molta eco e che, soprattutto, non sembra essere preso in considerazione per l’annunciato job acts, che appare voler proseguire sulla stessa linea delle precedenti modifiche.
Lo studio si intitola “Valutazione di interventi di riforma del mercato del lavoro attraverso strumenti quantitativi” e gli autori sono Germana Di Domenico, del Mef-Dipartimento del Tesoro e Margherita Scarlato dell’Università Roma Tre. Sul paper è indicata la formula di rito “Il documento riflette esclusivamente le opinioni degli autori e non impegna in alcun modo l’Amministrazione”, la stessa che appare, per esempio, sugli studi della Banca d’Italia, ma si può considerare una foglia di fico istituzionale, usata per dire che cosa si pensa senza farlo apparire una presa di posizione ufficiale.
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Vedi anche: Maledetto lavoro
Lavoro, cresciuto solo un Pil
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Politica economica
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Come si battono
disoccupazione e debito
In Usa il tasso dei senza lavoro è sceso in aprile sotto il 6,5%, l’obiettivo che la Fed aveva annunciato l’anno scorso, e anche il rapporto debito/Pil comincia a calare. In Europa è il contrario e in Italia va (quasi) peggio di tutti. Ma l’evidenza di una politica sbagliata non conta perché la classe dominante persegue un altro scopo
Ben Bernanke sì che lo può dire: “Fatto!”. L’ex presidente della Fed, l’anno scorso, aveva posto come obiettivo prioritario della politica della banca centrale Usa la discesa della disoccupazione al di sotto del 6,5%, obiettivo confermato dall’attuale presidente Janet Yellen. E i dati diffusi venerdì dicono che la disoccupazione è scesa in aprile al 6,3%. Poco più della metà della media europea, che è all’11,8, e meno della metà del tasso italiano, al 12,7%. Una differenza abissale.
Se se ne chiedesse il motivo a quegli economisti comunemente definiti “liberisti”, o magari al tetragono commissario europeo Olli Rehn, probabilmente comincerebbero a decantare le virtù del mercato del lavoro americano, completamente deregolamentato, dove si può assumere o licenziare senza alcun problema o limite. E’ questa la stella polare dei tecnocrati e della maggior parte dei politici europei, insieme al consolidamento dei conti pubblici, cioè alla riduzione di deficit e debiti. Ma i fatti dicono che è il primo obiettivo ad essere considerato più importante, e se si persegue quello gli arcigni custodi dei decimali sono disposti a chiudere un occhio – e anche tutti e due – sul resto. Vedi l’atteggiamento verso la Spagna, dove il governo Rajoy ha fatto una durissima riforma del lavoro, cosa che gli è valsa una tolleranza clamorosa sull’aggiustamento dei conti pubblici, che continuano a presentare un deficit alle stelle.
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Giovani e lavoro,
strategia per un disastro
La drammatica situazione attuale è il risultato delle numerose riforme del lavoro e delle pensioni varate negli ultimi vent’anni. La previdenza andava riformata, ma affrontando anche gli effetti collaterali. E tutta la flessibilità introdotta nell’impiego non ha prodotto occupazione, anzi. I dati che sfatano le affermazioni demagogiche
“Dobbiamo farlo per i giovani”; “E’ necessario per i nostri figli”; “La flessibilità del lavoro farà crescere l’occupazione”. Quante volte abbiamo sentito ripetere queste frasi dal governo di turno, quando si trattava di far inghottire qualche riforma peggiorativa sulla previdenza o sul lavoro? E siccome di queste riforme ne sono state fatte ormai parecchie, e anche molto pesanti, bisognerebbe supporre che qualche risultato si sia cominciato ad ottenere. Magari non da rovesciare il “vecchio ordine”, si sa che per queste cose ci vuole tempo. Ma almeno una tendenza, una direzione visibile delle variabili più importanti che testimoni che si sta andando nella giusta direzione, almeno quello è lecito aspettarselo.
Però, se si guardano alcuni di questi dati, non sembra proprio che la direzione sia quella giusta. “Ma sono riforme che hanno effetto nel lungo periodo”, è la consueta obiezione. Bene: vent’anni è un periodo abbastanza lungo? Abbastanza, almeno, per vedere come si muovono le tendenze? Difficile negarlo.
Nicola Salerno è un economista del Cerm che ha la pregevole abitudine di prendere i dati statistici e farci del grafici. Di recente ne ha fatto uno (utilizzando le serie Istat) che a guardarlo lascia un po’ a bocca aperta. E' quello qui sopra.
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Così è se mi pare
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Il debito, il P.A.D.R.E. e la zia Angela
Due economisti lanciano una nuova proposta definita “politicamente accettabile” (l’acronimo è P.A.D.R.E.) per la ristrutturazione dei debiti pubblici di eurolandia. L’idea, come altre già avanzate in passato, è buona. Ma si può scommettere che incontrerà la netta opposizione della Germania
Vendere Enav è come aumentare le tasse
Fare entrare i privati nei servizi pubblici essenziali significa rinunciare a fornirli al minor costo possibile, perché ai costi di gestione si devono aggiungere i profitti. Inoltre si genera un conflitto d’interesse con gli utenti.Sostenere che la presenza dei privati comporta sempre più efficienza è una posizione ideologica
Competitività, oltre il Clup un mondo inesplorato
Si continua a guardare quasi soltanto al costo del lavoro per unità di prodotto, ma i salari pesano in media solo il 15% sul totale dei costi. Nessuno però si preoccupa di confrontare gli altri fattori, mentre in quell’85% ci sarebbero parecchie cose su cui intervenire, dall’energia ai servizi alle imprese ai compensi dei top manager. Tutti settori presidiati da lobby potenti
Euro, perché serve un “piano B”
La dissoluzione della moneta unica non è probabile, ma resta comunque possibile anche per eventi indipendenti dalle nostre scelte. Discutere, anche a livello istituzionale, di cosa fare in quel caso non potrebbe essere visto come una mossa anti-europea: potrebbe però rafforzare la nostra posizione nelle trattative politiche
Aiuti all’industria, ultimi in Europa
Gli aiuti di Stato sono generalmente vietati, ma sono ammessi per obiettivi specifici approvati dalla Commissione e gli altri paesi ne erogano dal doppio a quasi il triplo di noi, che da vent’anni non facciamo che ridurli. Il Rapporto Met fa il punto e mette in evidenza un altro fatto: al Sud non va più quasi nulla
Il vincolo esterno e le gambe dei cani
Il premier Enrico Letta afferma che i vincoli di bilancio fanno bene all’Italia, ma la nostra storia dice che i vincoli esterni, anche a causa dell’incapacità delle nostre classi dirigenti, hanno portato più danni che benefici. E allora? Affidarci all’Europa? No: è guidata da leader altrettanto incapaci, se non di più
Giappone, età della pensione: mai
Il ministro dell'Economia giapponese annuncia un clamoroso progetto: "Una società nella quale le persone rimangano attive tutta la vita". Nel frattempo si discute dell'"Abenomics", la politica lanciata dal premier Abe: uno stimolo-monstre che vale il 40% del Pil e l'indebolimento del cambio del paese con il secondo surplus commerciale del mondo
Crescere o decrescere, questo è il problema
Una interessante polemica sul Corriere della Sera tra Antonio Pascale e Sandro Veronesi, che avanzano entrambi buone ragioni. Anch'io avevo scritto in passato qualcosa sull'argomento, La sostenibile leggerezza del Pil
Privatizzazioni? Elogio del clientelismo
Ce le chiede perentoriamente l’Unione europea, le pretendono i mercati, sono previste nella manovra economica. Ma è davvero una buona idea? Bisognerebbe riflettere sul fatto che se l’Italia è diventata una delle prime economie mondiali è grazie all’intervento pubblico
I sette giorni che cambiarono la finanza
Questa è una fiction, ma mica tanto.
La crisi che precipita, il commissariamento dell’Italia, una svolta politica imprevista. Poi l’arrivo di un personaggio in grado di parlare al mondo e dettare le sue condizioni. Tra realtà e fantasia, la storia di come potrebbe andare
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Il tedesco che incarna l’Europa egoista - Hans-Werner Sinn, uno degli economisti tedeschi più importanti, in una polemica con Francesco Saraceno dice di sostenere che per superare la crisi occorre più inflazione nel suo paese, ma poi nei suoi scritti spiega che la Germania non è disposta ad accettarla. E si lamenta persino dei tassi Bce “troppo bassi” che danneggerebbero i suoi concittadini (19 dic)
L’ultima speranza contro la crisi infinita - Dopo che l’Italia ha contestato il metodo di calcolo degli obiettivi di bilancio – obiezione che la Commissione ha subito respinto – molti paesi hanno mostrato interesse per il problema, secondo quanto ha dichiarato il ministro Padoan. Un problema che lo stesso Draghi ha ripetutamente sollevato. Forse questa è l’unica via possibile contro il disastroso eccesso di austerità che sta uccidendo l’economia (6 dic)
Art. 18, quanto costa un diritto - Due diversi esercizi matematico-statistici che utilizzano i dati fornitimi da InfoCamere confermano che l’eventuale effetto sulla dimensione delle imprese della norma sui licenziamenti è trascurabile. Una riprova che il problema non è economico, ma politico (30 ott)
Art. 18, se manca una buona ragione si inventa - Un dato molto citato ma di cui è difficile trovare aggiornamenti è quello sulla mancanza di discontinuità nel numero di imprese a cavallo della soglia dei 15 dipendenti, che testimonia la non influenza della norma. I dati al giugno 2014 confermano questa tesi (26 ott)
Riforme del lavoro tutte sbagliate: lo dice uno studio del Tesoro - Un paper pubblicato dal ministero dell’Economia esamina il mercato del lavoro dal ’97 (“Pacchetto Treu”) alla legge Fornero, per valutare gli esiti dei cambiamenti. Conclusione: “La dinamica occupazionale è peggiorata, la flessibilità è una trappola” (6 ott)
Pil a picco, fare più deficit o morire - Non basta nemmeno il 3%: finché il saldo primario continua a sottrarre risorse a un’economia agonizzante la ripresa non arriverà mai. L’Italia va peggio di tutti in Europa: è vero, ma è anche quella che ha il maggiore surplus dei conti pubblici. Dovremmo ignirare gli stupidi parametri di Bruxelles e battere i pugni perché la Germania riduca il suo surplus della bilancia (1 ott)
Renzi come Thatcher? Ma no, come Rajoy - Susanna Camusso lo ha paragonato alla “Lady di ferro”, ma quello che il presidente del Consiglio sta cercando di imitare è il leader spagnolo, che con la sua feroce riforma del lavoro ha tacitamente ottenuto di poter sforare clamorosamente il deficit e dunque sostenere la crescita (altro che riforme!) (22 set)
Euro o no: non è questo il punto - Entrambe le posizioni hanno dalla loro argomenti forti. Ma tornare alla lira, anche ipotizzando che non provochi disastri, non risolverebbe nulla senza un cambiamento della politica economica, così come la moneta unica non sarebbe più un problema se l’Europa cambiasse linea. E’ allora quello l’obiettivo su cui concentrare gli sforzi (10 ago)
McKinsey ministero ombra - Il commissario Cttarelli non è il solo ad essere a disagio: nelle questioni legate alla pubblica amministrazione si sta diffondendo in modo pervasivo la presenza della società di consulenza, da cui proviene il più ascoltato consigliere di Renzi, Yoram Gutgeld. A ciò ora si aggiunge la squadra di economisti di supporto a Palazzo Chigi, in prevalenza di orientamento liberista (31 lug)
Se Renzi ascoltasse i gufi - Mentre si procede con riforme che stravolgeranno il nostro assetto istituzionale, la situazione del paese non potrebbe essere più allarmante, ma chi lo afferma viene tacciato di essere un “gufo”. La crescita prevista è già azzerata e non arriverà con queste politiche. Non resta che un’alternativa (18 lug)
Altro che ripresa, Pil a zero anche quest’anno - Le prime previsioni dopo il pessimo dato della produzione industriale a maggio, quelle di Ref, annullano anche i decimali di ripresa. Gli indicatori delle aspettative sono positivi da un anno, ma anche l’ottimismo può poco se mancano le condizioni materiali e il consolidamento di bilancio continua a sottrarre risorse all’economia mentre servirebbe il contrario (16 lug)
Lo shock sciocco di Alfano - Le ricette che propone mirano a favorire la sua potenziale base elettorale e non c’entrano nulla con il rilancio dell’economia, che può arrivare solo se si smetterà di alzare polveroni parlando di crescita ma senza cambiare la politiche di bilancio restrittive. E non basterà certo uno 0,2% di Pil di “flessibilità” (14 lug)
L’arroganza del banchiere anti-euro - Ogni tanto Renzi ne fa una giusta: per la prima volta un premier italiano reagisce alle dichiarazioni derisorie verso l’Italia di un tecnocrate. Anzi, avrebbe dovuto farlo in modo più formale. Il presidente della Bundesbank oltretutto è un anti-europeista e la Merkel lo usa come spauracchio. La partita vera però è su chi sarà il Commissario agli Affari economici: su quello, più che sulla nomina della Mogherini, si dovrebbe riuscire a incidere (4 lug)
Il rischio del "welfare per i poveri" - Sembra deciso che dal prossimo anno i ticket sanitari saranno proporzionati al reddito. Sembra una misura “di sinistra”, ma il rischio è che il nostro sistema di welfare si avvicini sempre più al modello anglosassone, che si occupa solo dei meno abbienti. Così chi non ne usufruisce finisce per percepirlo come un peso e aumentano le pressioni per ridurlo sempre più. Il punto d’arrivo è la privatizzazione quasi completa (21 giu)
Tecnocrati fuori dal coro - Dure critiche alla politica europea dal commissario all’Occupazione Andor: “O rinunciamo al dogma “nessun trasferimento fiscale tra Stati dell’Unione”, o rinunciamo al Modello sociale europeo”. Un anno fa critiche non meno pesanti erano venute dal vice presidente della Bce Constancio (15 giu)
L’uomo di marmo che ci dà la pagella - Colloquio con Marco Buti, che guida la Direzione generale Affari economici della Commissione Ue che sta per rendere noto il nuovo giudizio sull’Italia. Nessun dubbio da parte sua sulla validità della metodologia con cui si esaminano i nostri conti pubblici, e per la disoccupazione una sola ricetta: riforma del mercato del lavoro (1 giu)
Visco, una svolta a metà - Per la prima volta nelle Considerazioni si mette l’accento sulla necessità di un rilancio della domanda interna e si parla dei costi delle politiche restrittive, ma si dice anche che si deve perseguire l’equilibrio del bilancio pubblico. Il deus ex machina sembra dover essere un miglioramento delle aspettative che faccia ripartire gli investimenti (30 mag)
Se Renzi mira in alto - Il trionfo ottenuto alle elezioni, che non ha uguali in Europa oltre che nella nostra storia, dovrebbe essere speso per riguadagnare all’Italia un ruolo da tempo scaduto nell’irrilevanza, tanto più che il disastro subito da Hollande priva la Merkel del tradizionale interlocutore privilegiato. L’obiettivo strategico è cambiare la logica dei trattati, basati su teorie economiche smentite dalla storia (27 mag)
Le elezioni e il tavolo della Merkel - I paesi indicati a modello per le riforme, dall’Irlanda alla Spagna, hanno avuto e hanno alti deficit pubblici, al contrario dell’Italia. Il modello che si vuole dunque non è l’austerità, ma le politiche di destra su lavoro e welfare. Il voto europeo è un’occasione per rifiutare queste politiche (24 mag)
Lo spread e i trucchi della Bundesbank - I trattati europei vietano alle banche centrali di sottoscrivere titoli di Stato all’emissione. Eppure quella tedesca lo fa da anni (e l’ha fatto anche in quest’ultima asta) aggirando quella regola che pretende che tutti gli altri rispettino. Perché gli altri non fanno lo stesso e nemmeno glielo contestano? (21 mag)
Pil, addio sogni di gloria - Dopo il dato negativo del primo trimestre la crescita prevista dal governo per quest’anno è praticamente impossibile da raggiungere e questo influenzerà negativamente i conti pubblici. Se l’asse Berlino-Bruxelles pretenderà altri tagli non usciremo dal circolo vizioso austerità-tagli-austerità (15 mag)
Come si battono disoccupazione e debito - In Usa il tasso dei senza lavoro è sceso in aprile sotto il 6,5%, l’obiettivo che la Fed aveva annunciato l’anno scorso, e anche il rapporto debito/Pil comincia a calare. In Europa è il contrario e in Italia va (quasi) peggio di tutti. Ma l’evidenza di una politica sbagliata non conta perché la classe dominante persegue un altro scopo (2 mag)
La zuffa grottesca sul decreto-lavoro - Le modifiche apportate dalla commissione Lavoro della Camera sono praticamente irrilevanti e non cambiano un pessimo provvedimento che farà aumentare la precarietà per dare un contentino agli imprenditori e ridurre ancora le retribuzioni, ma hanno dato l’occasione ad Alfano di sollevare un polverone per dare la caccia ai voti di destra (26 apr)
Pareggio di bilancio? Siamo già in attivo - Invece di chiedere un rinvio dovremmo contestare un metodo di calcolo assurdo secondo cui scendendo sotto il 10,8% di disoccupazione si creerebbero tensioni sui salari e sull’inflazione. Secondo i calcoli del Cer se quel tasso fosse portato a un più ragionevole 6,5% (com’era all’inizio della crisi e senza tensioni sui prezzi) saremmo già in avanzo strutturale di un punto di Pil (19 apr)
Salario minimo, l’ultima spallata al sindacato - Sarebbe una misura opportuna per tutti i lavoratori atipici, ma il progetto annunciato dal vice ministro Morando ne fa un grimaldello per scardinare definitivamente il contratto nazionale, cosa che avrebbe come conseguenza un rapido deperimento dei sindacati. Carniti: le organizzazioni della società civile sono fondamentali per la democrazia (17 apr)
Decreto lavoro, una mancia alle aziende - Una nuova spinta alla precarizzazione che si dice di voler combattere e una misura che non favorisce la produttività. Ma perché per decreto, che non avrebbe potuto nemmeno essere usato? Per “compensare” le imprese, prima dell’appuntamento elettorale, di aver destinato le risorse alle buste paga invece di abbattere l’Irap (6 apr)
Il rebus dei 50 miliardi e gli stregoni delle formule - Bisognerà tagliarli o no per rispettare il Fiscal compact? Per evitarlo, dice il governatore di Bankitalia Visco, basterebbe una crescita nominale del 3%. Ma la Commissione, utilizzando metodologie più che discutibili, ci chiede altri tagli che frenerebbero la crescita. Un assurdo circolo vizioso basato su tecnicismi più volte rivelatisi sbagliati (29 mar)
Quanto vale un bravo manager - L’ipotesi di limitare i superstipendi dei manager pubblici divide anche a sinistra. Ma ritenere che l’entità dello stipendio sia il fattore sempre e comunque determinante per selezionare i migliori è un’idea platealmente sballata. Ci sono molti altri fattori che influiscono sulle scelte personali (23 mar)
Stime ipotetiche, sacrifici veri - Renzi vuole spendere 100 miliardi, la Commissione Ue vuole tagli per 2.400. La recente bocciatura dei conti dell’Italia è dovuta essenzialmente alla diversità di stime su variabili come andamento del Pil, inflazione, spesa per interessi. Chi ha ragione? Nessuno può saperlo, visto che tutte le stime degli ultimi anni erano clamorosamente sbagliate. Ma su quella base vorrebbero imporci altri tagli e tasse (17 mar)
La partita più difficile di Renzi - I dieci miliardi distribuiti – un po’ casualmente – in busta paga potranno avere effetti di rilancio dell’economia solo ad alcune condizioni, proprio quelle che Commissione Ue (e Merkel) non apprezzano. Se Renzi vorrà e riuscirà a farle passare potrebbe davvero iniziare la svolta, altrimenti resteremo nelle sabbie mobili (14 mar)
Renzi e i conti senza Bruxelles - La Commissione Ue ha fatto capire chiaramente di non essere disposta a concederci nessun margine di manovra sui conti pubblici: al contrario, ci chiede ancora più rigore. Secondo la linea imposta da Angela Merkel, solo se accettassimo di farci dettare le riforme potremmo avere qualche aiuto (peraltro indeterminato). Accettando cioè di proseguire nella politica del disastro (9 mar)
Il cuneo? Meglio la leva - Tra interventi sul cuneo fiscale, l’Irap e i sussidi di disoccupazione l’impegno è per una cifra imponente, circa 25 miliardi. Ci si potrebbero assumere un milione di persone, il doppio se con mini-job: potrebbe essere la leva della ripresa, molto meglio che questa distribuzione senza obiettivi precisi e senza una strategia di politica economica (2 mar)
La morsa della Merkel - L’Eurogruppo e la Commissione accolgono la proposta tedesca “riforme in cambio di flessibilità nei conti” che la cancelliera aveva annunciato nel suo discorso di insediamento al Bundestag. Così, dopo aver imposto regole di bilancio impossibili da rispettare, si concederanno deroghe, ma solo a chi avrà attuato le riforme dettate da Berlino (20 feb)
Il debito, il P.A.D.R.E. e la zia Angela - Due economisti lanciano una nuova proposta definita “politicamente accettabile” (l’acronimo è P.A.D.R.E.) per la ristrutturazione dei debiti pubblici di eurolandia. L’idea, come altre già avanzate in passato, è buona. Ma si può scommettere che incontrerà la netta opposizione della Germania (15 feb)
Il sindacato e i frammenti ricomposti - Unificare il mercato del lavoro, che mai come oggi è stato così segmentato in cento figure diverse, è un problema che il sindacato discute, ma finora senza uno sbocco definito. Una battaglia per una legge sul salario minimo potrebbe dargli una nuova immagine e favorire un contatto con tutte quelle figure che lo vedono ormai come parte dell’establishment, oltre a restituirgli un ruolo di soggetto politico generale (9 feb)
Vendere Enav è come aumentare le tasse - Fare entrare i privati nei servizi pubblici essenziali significa rinunciare a fornirli al minor costo possibile, perché ai costi di gestione si devono aggiungere i profitti. Inoltre si genera un conflitto d’interesse con gli utenti.Sostenere che la presenza dei privati comporta sempre più efficienza è una posizione ideologica (5 feb)
Electrolux, l’austerità fa un’altra vittima - Ma che costo del lavoro, ma che cuneo fiscale! E’ stato il crollo delle vendite in Italia, conseguenza del calo del Pil e dei consumi, a provocare la crisi aziendale. Il piano proposto per affrontarla taglierebbe orari e salari: se è vero che le paghe scenderebbero non a 7-800 euro, ma solo dell’8%, su quella base si potrebbe trattare (28 gen)
Competitività, oltre il Clup un mondo inesplorato - Si continua a guardare quasi soltanto al costo del lavoro per unità di prodotto, ma i salari pesano in media solo il 15% sul totale dei costi. Nessuno però si preoccupa di confrontare gli altri fattori, mentre in quell’85% ci sarebbero parecchie cose su cui intervenire, dall’energia ai servizi alle imprese ai compensi dei top manager. Tutti settori presidiati da lobby potenti (19 gen)
I voti non sono tutto - Una elaborazione che simula i risultati dei tre sistemi proposti da Renzi attribuendo a partiti e coalizioni i voti effettivamente ottenuti nelle elezioni 2013 mostra che si otterrebbero esiti clamorosamente diversi. E’ la prova che i meccanismi delle leggi elettorali sono determinanti e chiarisce come mai sia così difficile un accordo sulla riforma (14 gen)
I cattivi maestri che affossano l’Italia - Al contrario di opinioni diffuse e ripetute il nostro costo del lavoro non è troppo alto, cambiare i contratti serve a poco, la nostra industria manifatturiera è competitiva a livello internazionale e i conti pubblici non sono il problema più urgente. Eppure è su questi argomenti che si concentrano il dibattito e i provvedimenti dei politici, mentre si dovrebbero affrontare le vere zavorre, peraltro stranote da anni (4 gen)
Also sprach Angela Merkel - Chi pensa che l’ingresso dei socialdemocratici nel governo tedesco possa cambiare qualcosa farà bene a leggere il resoconto del primo discorso della cancelliera al Bundestag dopo la rielezione. Non solo una piena conferma della linea seguita finora, ma anche una riaffermazione che le regole europee devono essere ferree per tutti tranne che per la Germania (21 dic)
Euro, perché serve un “piano B” - La dissoluzione della moneta unica non è probabile, ma resta comunque possibile anche per eventi indipendenti dalle nostre scelte. Discutere, anche a livello istituzionale, di cosa fare in quel caso non potrebbe essere visto come una mossa anti-europea: potrebbe però rafforzare la nostra posizione nelle trattative politiche (16 dic)
Il leader della disperazione - Che Matteo Renzi vincesse la corsa per la segreteria Pd era praticamente certo, ma il come ha riservato una serie di sorprese. E tutto ciò che era imprevedibile prima compone ora un quadro per interpretare meglio l’accaduto (15 dic)
I danni dell’ombra lunga di Berlusconi - La pessima reputazione acquisita dall’Italia fa ancora guai: da un’inchiesta di Goldman Sachs risulta che gli investitori percepiscono le nostre banche come le più rischiose e anche un report Ubs punta il dito sulle sofferenze: Bankitalia cerca di tranquillizzare la City. Intanto i prestiti scendono ancora (12 dic)
Quel Messaggero da battaglia - C’è stato un periodo, negli anni ’70 e ’80, in cui il giornale romano visse una stagione battagliera e indipendente che coincise in buona parte con la direzione di Vittorio Emiliani, che in un libro di memorie racconta tutto, dalla vita di redazione ai retroscena politici di molti avvenimenti importanti (9 dic)
La maggioranza deviante - I controlli delle università romane sulle dichiarazioni reddituali degli studenti hanno mostrato che quasi due su tre erano false. E’ un segnale gravissimo, perché una società democratica si basa sul rispetto volontario delle regole da parte della maggioranza. Ma è ancor più grave il fatto che gli studenti hanno solo imitato i comportamenti delle élite di successo (2 dic)
Europa, sui disoccupati non la batte nessuno - L’analisi di uno strategist della Nomura: nell’ultimo anno la situazione si è rapidamente deteriorata, con il cambio che si è apprezzato di circa il 6% e la disoccupazione più alta rispetto a tutte le altre maggiori economie del mondo. Si profila un nuovo scontro fra Draghi e la Bundesbank (30 nov)
Aiuti all’industria, siamo ultimi in Europa - Gli aiuti di Stato sono generalmente vietati, ma sono ammessi per obiettivi specifici approvati dalla Commissione e gli altri paesi ne erogano dal doppio a quasi il triplo di noi, che da vent’anni non facciamo che ridurli. Il Rapporto Met fa il punto e mette in evidenza un altro fatto: al Sud non va più quasi nulla (25 nov)
Le riforme “inutili” ma inderogabili - Siccome avrebbero effetti insufficienti per ridurre deficit e debito pubblico una serie di provvedimenti, dai costi della politica alle spese per consulenze nella P.A., vengono accantonati, come se i governi avessero il solo obiettivo di rispettare i parametri che derivano dagli impegni europei. Ma nell’Italia della crisi questo è diventato intollerabile (18 nov)
Garantire il reddito? No, il lavoro - Si continua a parlare di “reddito di cittadinanza” o “reddito minimo garantito”. Ma, come già diceva Paolo Sylos Labini più di 30 anni fa, non è all’assistenzialismo che bisogna puntare, ma ad assicurare un lavoro a tutti. Evitando gli errori di esperienze simili, come i nostri “lavori socialmente utili” o i “mini-job” tedeschi (12 nov)
Alla Camera risparmi col trucco - ”Abbiamo tagliato 60 milioni dal nostro bilancio”, dicono i deputati. Ma confrontano i bilanci preventivi 2012 e 2013, quando per lo scorso anno c’è già il consuntivo, cioè i numeri definitivi: e si se prende quella base, com’è logico, non solo i risparmi spariscono, ma la spesa aumenta (9 nov)
I tecnocrati dalla lingua biforcuta - Che non si debba dare valore ufficiale ai giudizi delle agenzie di rating l’ha detto fin dal 2009 la Commissione de Larosière e poi l’ha ribadito il Financial Stability Board allora presieduto da Draghi. Ma il regolamento del Fondo salva-Stati dice che può investire solo in titoli doppia A: così si comprano i Bund tedeschi coi soldi dei paesi in crisi (28 ott)
Il vertice Bundesbank lavora per la crisi - Tra breve la Corte costituzionale tedesca dovrà pronunciarsi sul ricorso contro le decisioni di Draghi presentato dal presidente della Buba Jens Weidmann. Se fosse accolto, come egli sa bene, scatenerebbe di nuovo la speculazione contro i paesi in difficoltà: i leader di questi ultimi non hanno nulla da dire? (28 ott)
Il vincolo esterno e le gambe dei cani - Il premier Enrico Letta afferma che i vincoli di bilancio fanno bene all’Italia, ma la nostra storia dice che i vincoli esterni, anche a causa dell’incapacità delle nostre classi dirigenti, hanno portato più danni che benefici. E allora? Affidarci all’Europa? No: è guidata da leader altrettanto incapaci, se non di più (19 ott)
Berlusconi ha perso, la destra forse no - La vicenda del governo si intreccia con la strada che il Pd deciderà di prendere e quindi con la scelta del suo leader. L’alternativa è proseguire sulla strada delle larghe intese e della “stupida austerità” oppure battersi davvero, soprattutto in Europa, per cambiare questa linea disastrosa (6 ott)
Un galeotto solo al comando - Le vicende seguite alla condanna definitiva dovrebbero aver chiarito a chi ancora non lo ammetteva che il Pdl non è una forza politica, ma un gruppo che persegue soltanto gli interessi del suo capo e come tale è non solo inutile ma dannoso per il governo del paese. Resta da vedere se tutti i gruppi in lotta all’interno del Pd si comporteranno di conseguenza (5 ago)
Il presidente che zittisce il Parlamento - Le Camere non possono dare indirizzi al governo, quando si tratti di una “scelta operativa”. Questo dice il comunicato del Consiglio supremo di difesa, pubblicato sul sito del Quirinale. Dal punto di vista formale questa tesi si potrebbe discutere, ma da quello sostanziale è l’ennesima forzatura che, se accettata, sminuirebbe il ruolo del Parlamento rispetto a presidente e governo (4 lug)
“Per uscire dalla crisi stracciate la Costituzione” - Un documento di JP Morgan, una delle maggiori banche d’affari del mondo, afferma che le Carte fondamentali dei paesi del Sud Europa “mostrano una forte influenza delle idee socialiste” e impediscono di prendere i provvedimenti necessari, come eliminare le tutele dei lavoratori e “la licenza di protestare”. Di loro sì che possiamo fidarci: senza i salvataggi pubblici sarebbero già falliti due o tre volte (21 giu)
Supermanager, italiani i più pagati d'Europa - Un'ora vale 10 giorni di uno stipendio medio, secondo i calcoli dell’Economist, che stila una classifica con 22 paesi in cui l’Italia si distingue per gli stipendi più alti dei capi-azienda e per una delle più alte differenze rispetto alle retribuzioni dei dipendenti (12 giu)
Il bazooka scarico della Bce - Chi si aspettava provvedimenti della banca centrale per favorire il credito alla piccole e medie imprese è rimasto deluso. Ma non tutti concordano sull'efficacia delle due soluzioni di cui si era parlato, e soprattutto è contraria la Bundesbank. E in ogni caso, come si diceva in politica, "il problema è a monte" (10 giu)
L'uovo del debito e la gallina della crescita - Una nuova smentita alla teoria di Reinhart e Rogoff, secondo cui un alto debito pubblico frena la crescita: è dopo la frenata che il debito sale, afferma David Rosnick esaminando proprio i dati usati dai due. Un altro colpo ai fanatici dell'austerità, che però se ne infischiano (7 giu)
Oggi non si fa crescita, domani sì - L'uscita dalla recessione è di nuovo rinviata, ma il presidente della Bce Mario Draghi non cambia le ricette che hanno dimostrato di essere dannose e insiste sull'austerità, come la Commissione Ue. Continuano a ripetere che la crescita sta per arrivare, ma in arrivo c'è invece il "fiscal compact" che darà il colpo di grazia. L'alternativa c'è, ma è testardamente rifiutata (6 giu)
La Repubblica cambiata da questi? - Dar seguito all'ipotesi di Enrico Letta sull'elezione diretta del capo dello Stato comporterebbe un completo mutamento della struttura istituzionale, che richiederebbe tempo e sarebbe dunque un'assicurazione sulla durata del governo. Ma non si può affidare alla classe politica più screditata della storia repubblicana il compito di rivoluzionare completamente le istituzioni (4 giu)
Pangloss a via Nazionale - Nelle Considerazioni finali del governatore di Bankitalia Ignazio Visco molti (giusti) richiami sui ritardi della politica nazionale, ma nessuna analisi critica della disastrosa strategia anti-crisi europea, come se, secondo le tesi del filosofo inventato da Voltaire, vivessimo "nel migliore dei mondi possibili" (31 mag)
Il Pd e i cattolici "bambini" - Dice Stefano Fassina che Rodotà non avrebbe avuto i voti di molti cattolici del Pd. Torna in primo piano un antico problema sempre rimosso, quello della laicità della politica, perché come si vede le scelte dei "cattolici non adulti" hanno conseguenze rilevanti anche al di là dei temi strettamente etici (11 mag)
Bundesbank, siluro alla stabilità - Fatta filtrare la notizia di un ricorso della banca centrale tedesca alla Corte Costituzionale contro la politica della Bce che ha fermato la speculazione contro l'euro: secondo la Buba è illegittima e pericolosa. Per ora la necessità di investire l'enorme liquidità sui mercati ha avuto la meglio e gli spread sono rimasti stabili, ma in prossimità della decisione la speculazione potrebbe tornare a colpire (2 mag)
Se fossimo europei nell'evasione - I dati Ocse ci collocano ai vertici di questa poco onorevole classifica. Se le tasse non pagate scendessero alla media fatta su cinque paesi (Germania, Francia, Regno Unito, Danimarca e Olanda) incasseremmo 80 miliardi in più e oltre a rispettare gli accordi imposti dall'Europa potremmo rilanciare l'economia (24 apr)
Consulenze, uno spreco evitabile - Le spese per gli incarichi ad esterni della pubblica amministrazione risultano di circa 3 miliardi, ma in realtà sono di più se si considerano alcune fattispecie non rilevate e le tante vertenze che ingolfano la Corte dei Conti. Le leggi per contenerle non hanno funzionato, consentono varie scappatoie. Eppure ci sarebbe un rimedio semplice (12 apr)
La pandemia dell'austerità - La Commissione Ue dice di temere che gli squilibri dell'Italia possano contagiare il resto d'Europa, ma poi stila una lista di "malati" che ormai è più lunga di quella dei sani. Non le viene il dubbio che la politica europea sia sbagliata? Nella lista manca la Germania, ma dovrebbe esserci: invece viene graziata da una regola piuttosto singolare (10 apr)
Medice, cura te ipsum - Le prime parole di un Papa sono spesso indicative del programma del suo pontificato. Così è stato per Wojtyla "il conquistatore" e per Ratzinger "il filosofo". L'esordio di Bergoglio farebbe pensare a un programma che mette al primo posto la riforma della Chiesa, puntando sulla sobrietà (la scelta del nome) ma soprattutto - forse - rivoluzionandone il governo (15 mar)
Bce, errori veniali e errori mortali - Nuovo spostamento in avanti per l'inizio della ripresa, come è già successo più volte. Ma sbagliare le previsioni è un errore veniale: quello "mortale", anche per l'economia dell'Eurozona, è continuare a insistere sulle politiche di austerità quando persino il Fondo monetario ha fatto retromarcia (7 mar)
Chi più spende meno s'indebita - Tagliare la spesa pubblica per ridurre il debito è uno dei mantra più ripetuti del pensiero economico dominante. Ma sono sempre di più gli economisti che denunciano che è un'idea profondamente sbagliata e ora un esercizio econometrico del Fondo monetario mostra risultati stupefacenti (1 mar)
Lo strabismo di Confindustria - Solo nelle ultime pagine "Italia 2015", il documento con le proposte per rilanciare la crescita, si occupa dell'organizzazione e del costo dei servizi. Eppure le tanto ricercate competitività e produttività dipendono per una parte importante da quello, come affermano studi Ocse e Bankitalia. Meglio prendersela con i lavoratori che con lobby potenti? (24 gen)
Bernanke il rivoluzionario - La crisi che non passa sta incidendo profondamente anche sul ruolo delle banche centrali e sulle loro strategie e i dogmi degli ultimi trent'anni vengono rimessi in discussione. La Fed, in particolare, per la prima volta ha indicato un obiettivo numerico sulla disoccupazione. Solo in Europa innovazioni quasi a zero (14 gen)
L'impossibile imbroglio di Silvio il ballista - "Le regole europee sul Pil non tengono conto che in Italia c'è l'economia sommersa, quindi il vero rapporto debito/Pil è sotto il 100%". Berlusconi l'ha ripetuto più volte, ma è una castroneria: è dal 1987 che l'Istat, con un metodo adottato poi anche all'estero, comprende nel calcolo una stima del settore irregolare (10 gen)
Precari di Stato, una vergogna “all’italiana” - Nella pubblica amministrazione ci sono ben 260.000 dipendenti precari: uno scandalo per un comparto che fornisce servizi previsti dalle leggi e non è soggetto alle oscillazioni del mercato. Ma i precari sono serviti a tutti: ai politici per il clientelismo, ai dirigenti per aggirare i blocchi del turn over, ai sindacati che guidano le rivendicazioni alla stabilizzazione. Tanto il conto alla fine lo pagano sempre i più deboli, cioè loro (5 dic)
Giovani e lavoro, strategia per un disastro - La drammatica situazione attuale è il risultato delle numerose riforme del lavoro e delle pensioni varate negli ultimi vent’anni. La previdenza andava riformata, ma affrontando anche gli effetti collaterali. E tutta la flessibilità introdotta nell’impiego non ha prodotto occupazione, anzi. I dati che sfatano le affermazioni demagogiche (30 nov)
Stretta, il peggio che verrà - Un grafico contenuto in uno studio dell’Ocse ci fa vedere che le nostre manovre per l’aggiustamento dei conti nel quadriennio 2012-15 sono le più pesanti in Europa dopo quelle di Grecia, Irlanda e Portogallo. Questo aggraverà la crisi di domanda, con un mercato interno già ai minimi e la domanda estera che dà segni di cedimento
(21 nov)
La destra alla conquista della sinistra - Le forze politiche di destra presenti oggi sono una corte dei miracoli ripudiata persino da chi per tanti anni le ha votate. Ma questi elettori hanno ora trovato in Matteo Renzi un possibile rappresentante e potrebbero fargli vincere le primarie e conquistare il Pd. Se accadesse sarebbe la fine di qualsiasi prospettiva progressista
(13 nov)
Gli astrologi dell'economia - Anche nei templi dell’ortodossia economica, come l’Fmi, comincia a farsi strada la consapevolezza che le politiche di auterità non solo non risolvono la crisi, ma la aggravano. Il problema è grave in tutta Europa e certamente in Italia, dove si insegue il feticcio del pareggio di bilancio senza occuparsi della crescita (5 nov)
La verginità perduta di fraulein Buba - ”La Bce non deve comprare titoli pubblici, sarebbe come stampare moneta”, tuona il presidente della Bundesbank Jens Weidmann. Ma dimentica che anche la sua banca l’ha fatto in passato, giustificandosi proprio con le stesse motivazioni espresse da Draghi a Londra (27 ago)
Il dottor Draghi e mister Buba - L’uomo che ha presieduto il Consiglio Bce del 2 agosto era lo stesso che ha annunciato a Londra “faremo tutto il necessario per salvare l’euro” o il suo doppio germanizzato? La Banca centrale ha avallato la linea di Berlino, seguendo la quale chi chiede aiuto in pratica si suicida e per di più compie un suicidio inutile; e, in secondo luogo, il peso dell’aggiustamento graverebbe solo sui paesi in difficoltà, mentre anche i più forti devono fare i “compiti a casa” (6 ago)
Guarda i muscoli del capitano - Appena Mario Draghi ha dichiarato con decisione che la Bce è pronta “a fare tutto quello che serve” i mercati hanno invertito la rotta, con una forte discesa dello spread e il decollo delle Borse. A dimostrazione che non serve sparare se è credibile che lo faresti: ed è credibile perché sul fronte dei “falchi” la Germania è ormai rimasta sola. Resta però l’incognita della Corte Costituzionale tedesca (26 lug)
I Piigs aiutano Frau Merkel - La crisi, che il comportamento tedesco alimenta, spinge i capitali verso i paesi la cui moneta si rivaluterebbe in caso di rottura dell’euro, che così finanziano il loro debito guadagnandoci senza dover subire un apprezzamento del cambio. Così loro stanno meglio e gli altri sempre peggio. “Salvare i paesi spreconi coi soldi dei tedeschi”? Non è così. La soluzione ci sarebbe, ma bisogna volerla attuare (16 lug)
Rating e previsioni, bar sport sui mercati - Tutti contro le agenzie, ma il bersaglio è sbagliato: bisognerebbe prendersela con le istituzioni, come la Bri e la Bce, che continuano ad attribuire un valore operativo a giudizi che sono basati su ipotesi e che spesso non hanno un’attendibilità superiore alle chiacchiere da bar (13 lug)
La Bce pensa ai salari invece che alla finanza - Il Bollettino afferma esplicitamente che i salari sono già scesi, ma non abbastanza, e solo questo può far ridurre la disoccupazione. La Banca centrale insiste dunque su una ricetta bocciata da un gran numero di autorevoli economisti e soprattutto dai fatti. Non sembra preoccuparsi, invece, delle riforme proprie dei suoi compiti, quelle per il controllo della finanza (12 lug)
Se otto ore vi sembran poche... - Se si lavorasse una settimana in più a parità di salario guadagneremmo un punto di Pil, sostiene il sottosegretario all’Economia Gianfranco Polillo. Reazioni: bocciatura all’unanimità, persino da Confindustria. Perché, a parte il fatto che il nostro orario è già tra i più lunghi, per essere più competitivi serve altro - A seguire: colloquio con Stefano Dolcetta, vicepresidente Confindustria (6 lug)
Un governatore meno “tedesco” - Ignazio Visco si schiera ufficialmente a favore di un fondo europeo a cui gli Stati conferiscano parte dei debiti pubblici e caldeggia vari provvedimenti finora ostacolati dai tedeschi. E’ questa la parte più interessante delle Considerazioni finali di quest’anno (31 mag)
Lo Stato non paga, non ispeziona e non riscuote - Secondo i dati dello stesso ministero dopo il 2007 il numero delle ispezioni nelle aziende è crollato e così i contributi recuperati, che del resto non superano mai il 20% dell’accertato. Così da un lato non si pagano i fornitori, dall’altro non si recupera l’evasione. Nelle aziende ispezionate i lavoratori irregolari sono in media il 40% (3 mag)
Il 18 è un numero dispari - L’importanza del famoso articolo non è pari per tutti: conta poco o nulla dal punto di vista macroeconomico, ma è fondamentale per la condizione dei lavoratori. Tanto che varrebbe la pena di proporre uno scambio: salari più bassi (tanto, con la politica europea, scenderanno comunque) in cambio della rinuncia alla parte più critica in tema di lesione dei diritti (30 mar)
Premier sulla scheda, un triplo errore - L’accordo che i segretari dei tre partiti che sostengono il governo hanno detto di aver raggiunto sulla riforma elettorale è un pastrocchio peggiore del sistema attuale, che sembra abbandonare il bipolarismo – il che non sarebbe un male – mantenendo però uno degli aspetti più sbagliati: l’indicazione del leader viola le prerogative di Quirinale e Parlamento. Ma forse è la solita finta (28 mar)
Non tutte le scissioni vengono per nuocere - Le divisioni nel Partito democratico non sono frutto di una normale dialettica, ma di due filosofie politico-sociali incompatibili. La vicenda del mercato del lavoro, che le ha di nuovo fatte emergere chiaramente, dovrebbe essere l’occasione per scegliere una delle due strade, lasciando che chi non è d’accordo segua il suo percorso altrove (23 mar)
L’obiettivo indicibile - Mario Monti ed Elsa Fornero parlano di giovani e flexicurity, ma quello che veramente si vuole ottenere non si può dire perché politicamente indigeribile: devono scendere i salari, perché questo prevede la linea europea imposta da Angela Merkel: una strategia sbagliata che farà enormi danni. L’articolo 18 sarà di fatto eliminato e licenziare sarà facile (20 mar)
Competitività, le tasse fanno male? - Certo, se se ne pagano più degli altri bene non fanno. Ma da una classifica Ocse sulla tassazione delle imprese in rapporto al Pil non emerge una relazione chiara. Evidentemente altri fattori contano anche di più (7 mar)
Draghi e Ocse, le ricette separate dai fatti - Le tecnostrutture all’attacco. Prima il presidente della Bce, poi un rapporto dell’organizzazione parigina, dettano ricette anticrisi molto simili e con una caratteristica specifica: non c’entrano nulla con i fattori che la crisi l’hanno provocata e continuano ad alimentarla. Di più: di quei fattori non parlano proprio (24 feb)
Governo, la flex senza security - Anche se in seguito c’è stata una parziale retromarcia, il ministro Elsa Fornero ha prefigurato una riforma del mercato del lavoro dove si dà via libera ai licenziamenti, si abolisce in gran parte quello che è al momento l’unico ammortizzatore sociale e per i nuovi si rinvia a un futuro indeterminato (24 gen)
Pomigliano sale sul treno - Nella bozza del decreto sulle liberalizzazioni si elimina l'obbligo per le imprese ferroviarie di osservare i contratti nazionali. Era stata promossa dal sottosegretario Catricalà, quando era presidente dell’Antitrust, per favorire l’ingresso sul mercato di Ntv, la società di Montezemolo, Della Valle, Sncf, Banca Intesa. Anche se Ntv ha già firmato un contratto viene ora riproposta quella norma che potrebbe avere effetti disastrosi per i lavoratori (19 gen)
Le imprese: l'art. 18? Non ci interessa - Sul campione di 100.000 aziende dell'indagine Unioncamenre nessuno cita questo motivo per le mancate assunzioni. Anche le statistiche storiche dicono che lo Statuto dei lavoratori non ha frenato l'ccupazione. Il problema emerge per quel che è: un'istanza di destra (23 dic)
L’articolo 18 tra fatti e propaganda - Incredibilmente, mentre l’economia crolla si torna a proporre l’abolizione della garanzia contro i licenziamenti senza giusta causa. E la campagna “abolizionista” è infarcita di mistificazioni e a volte addirittura di menzogne, che è facile confutare (20 dic)
La trappola europea - L’accordo imposto al vertice di Bruxelles da Angela Merkel è tutto concentrato sul controllo dei conti pubblici degli Stati membri, senza un disegno per affrontare la crisi con uno sforzo comune. Ma la politica basata sui soli tagli è sbagliata, lo dice persino un documento riservato della Troika (Ue-Bce-Fmi) sul disastro fatto con la Grecia. Stare in questa Europa ci condanna a non crescere, ma uscire dall’euro farebbe danni enormi. Se non cambia qualcosa, avremo un lungo inverno (9 dic)
Industriali: prendi i soldi e non investire - Gli sconfortanti risultati di una ricerca: da un decennio le imprese hanno quasi smesso di fare investimenti e ridotto gli ammortamenti, tanto che i nostri impianti devono durare più di 26 anni, il doppio dei concorrenti esteri. In compenso hanno distribuito dividendi anche quando non c’erano gli utili pagando molto più della media internazionale (11 ott)
I dilettanti dell'austerity - I leader europei hanno rimediato alle decisioni clamorosamente sbagliate di un anno fa sulla Grecia. Un errore costato assai caro non solo ad Atene, ma a tutta la zona euro. Quanto ci vorrà perché capiscano che un errore analogo è quello di puntare, per tutta l’Europa, sugli aggiustamenti di bilancio senza preoccuparsi della crescita? (22 lug)
Privatizzazioni? Elogio del clientelismo - Ce le chiede perentoriamente l’Unione europea, le pretendono i mercati, sono previste nella manovra economica. Ma è davvero una buona idea? Bisognerebbe riflettere sul fatto che se l’Italia è diventata una delle prime economie mondiali è grazie all’intervento pubblico (14 lug)
Il decennio perduto dal berlusconismo - Nella sua ultima relazione da governatore di Bankitalia Mario Draghi, nonostante un sapiente bilanciamento fra passaggi critici e apprezzamenti, condanna senza appello la politica degli ultimi dieci anni e i “tagli orizzontali” di Tremonti. E sulla linea che seguirà alla Bce lascia pochi dubbi: vestiremo alla tirolese (31 mag)
Se allo statistico serve il batiscafo - Sull’economia sommersa circolano le stime più varie. C’è persino chi sostiene che in Italia valga un terzo dell’economia, ma è una tesi che fa a pugni con la realtà: per convincersene basterebbe dare un’occhiata alla composizione del Pil (3 mag)
Il rebus tra debiti e crescita - La crisi fa impennare del 37,6% i debiti pubblici dei paesi del G20 al 2015. Che fare? Ne hanno discusso il Director of Fiscal Affairs dell’Fmi Carlo Cottarelli e alcuni autorevoli economisti. Le strategie sono controverse e per l’Italia il sentiero da seguire è stretto e difficile. L’emissione di euro-bond potrebbe sostenere la exit strategy (25 gen)
Crisi, chi paga il conto - Le conseguenze di un danno dovrebbero ricadere su chi l’ha provocato. Ma non è quello che sta avvenendo. E anche le ricette dell’ultimo Bollettino della Bce insistono soprattutto su un fattore: i salari. E ancora non ci sono misure per evitare che il disastro si ripeta (13 mag)
Tobin tax, dai no-global al G20 - Nel vertice in Scozia il premier inglese Gordon Brown ha proposto di tassare le transazioni finanziarie. Un’idea avanzata nel 1972 dal premio Nobel James Tobin, poi fatta propria dai movimenti internazionali per combattere la povertà. Ma “la fantasia al potere” è durata poche ore (7 nov)
Troppa flessibilità fa male ai muscoli - Di che cosa si parla quando si discute di posto fisso? I discorsi degli imprenditori e di molti economisti sottintendono una realtà inesistente, ossia che l'impresa non abbia possibilità di dosare il fattore lavoro secondo le esigenze produttive. Sarebbe invece più utile, guardando alla storia del XX secolo e degli ultimi 30 anni in particolare, chiedersi se la flessibilità non sia nociva per l'economia in generale e anche per il funzionamento delle imprese (5 nov)
I giorni dell’Irap - Pessima, anzi ottima: le ragioni di chi vorrebbe abolire un’imposta sulle imprese odiata fin dalla sua introduzione e le repliche di chi la difende, spiegando la logica di quegli aspetti che gli accusatori considerano assurdi, come il fatto che bisogna pagarla anche se il bilancio chiude in rosso (22 ott)
Emigriamo in Tunisia - Un’altra delle solite classifiche di fonte “autorevole”: stavolta è il World Economic Forum che ci colloca al 48° posto (su 133 paesi) nella graduatoria della competitività. Meglio di noi si piazzano l’Islanda e il Cile, la Lettonia e la Tunisia, dove, secondo il Rapporto, le popolazioni hanno “migliori opportunità”. Ma c’è poco da ridere: queste castronerie hanno uno scopo (8 sett)
L’Ocse e i conti senza le tasse - L’organizzazione ha diffuso una studio in cui confronta i sistemi previdenziali dei paesi membri e da cui risulta che l’Italia spende in rapporto al Pil il doppio della media. Ma la metodologia utilizzata (anche da altre istituzioni sovranazionali e nazionali) si presta a parecchie obiezioni (23 giu)
Cronache del dopo-bolla - Le analisi sulla crisi e le proposte del Nobel Stiglitz, del banchiere Masera, dell'economista Spaventa e del direttore dell'Abi Zadra. L'economista americano: "Basta con le mega-banche". L'impazzimento della finanza e le nuove regole da adottare (7 mag)
Il Cavalier Multivac - L’idea di Berlusconi di far votare in Parlamento solo i capigruppo (dieci persone, su mille parlamentari!) fa tornare alla mente il racconto di fantapolitica di un celeberrimo scrittore e scienziato americano, Isaac Asimov (11 mar)
Previsione e rassicurazione - Tutti i grandi centri che formulano previsioni affermano che nel 2010 ci sarà la ripresa. Ma che credibilità ha una previsione a un anno, visto che gli stessi soggetti continuano a correggere in peggio le stime da un mese all'altro? Il fatto è che a cercare di rimediare alla crisi sono gli stessi che hanno contribuito a provocarla (10 mar)
Pio XII più laico di Berlusconi - In un discorso ai medici cattolici del 1957 escludeva che in casi come quello di Eluana si possa parlare di eutanasia e ribadiva il diritto del malato o dei familiari di rifiutare cure non ordinarie. Quanto al momento della morte, "la risposta non può derivare da alcun principio religioso e morale e, per tale aspetto, essa non cade sotto la competenza della Chiesa" (9 feb)
Le pagelle di chi ha sbagliato tutto - L’Italia è in coda alla classifica della libertà economica, scrivono tutti i giornali. E chi l’ha stilata questa classifica? I signori della Heritage Foundation, i capostipiti dei principi neo-con e ultra liberisti ai quali dobbiamo l’attuale disastro dell’economia mondiale (13 gen)
Un fallimento liberista - A portare alla bancarotta i giganti dell'auto Usa sono stati anche, e in modo determinante, i deficit dei Fondi aziendali pensionistici e sanitari. La società ha chiesto ai privati i servizi di welfare che lo Stato non fornisce, e questo è il risultato (12 dic)
La crisi di inizio secolo - Sarà probabilmente ricordata così, come quella degli ultimi anni dell’800 che è invece “la crisi di fine secolo”. Le riduzioni di tassi e i piani di aiuto dei governi sono terapie di sostegno, ma la guarigione richiederà anni, perché devono essere riassorbiti fortissimi squilibri dell’economia mondiale (4 dic)
Perché è sbagliato detassare Stachanov - Il governo replica il provvedimento di detassazione per i premi di produttività. Che però non serve allo scopo dichiarato (aumentare la produttività, appunto), ma a ridurre il costo del lavoro e dare più libertà agli imprenditori nella gestione del salario (28 nov)
Ocse, pressione fiscale e pressione politica - L’organizzazione ha diffuso i dati della consueta classifica e l’Italia risulta al sesto posto. Sono stati due ricercatori della stessa organizzazione a dimostrare in uno studio che per calcolare in modo corretto la pressione fiscale bisognerebbe considerare altri fattori. Ma si continua a non tenerne conto (15 ott)
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Europa
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Le regole sbagliate
di un mondo
che non c’è più
Le norme europee sono sospese, ma le ipotesi di modifica non promettono bene. Il testo del mio intervento al seminario “Dopo le crisi – Dialoghi sul futuro dell’Europa”, promosso da Alessandro Somma e Edmondo Mostacci, che è poi diventato un libro per Rogas edizioni
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Libri
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L’Europa vista
da un riformista
Le crisi, dice Francesco Saraceno, hanno forzato novità fino a poco fa impensabili nella politica europea. Ciò significa che ha torto chi sostiene che nulla può cambiare e che bisogna combattere per riforme che rimedino ai profondi difetti di una costruzione pensata sulla base di teorie non più proponibili. E formula una serie di proposte che potrebbero surrogare le funzioni di un’unione federale che non appare realizzabile in un futuro prossimo
Vedi anche: In economia conta più la fede che la scienza
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Politica
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Allora licenziamo
i dirigenti pubblici
Il “governo dei migliori” ci ha appena fatto sapere che a fare il Recovery Plan da solo non ce la fa, e ha bisogno della consulenza della McKinsey. Eppure il Mef può contare su un “Consiglio tecnico-scientifico degli esperti”, e nelle sue varie articolazioni ha vari uffici studi, così come gli altri ministeri. Tutti incapaci? Difficile da credere. E altrettanto strano è che la multinazionale della consulenza si accontenti di una parcella minimale, alimentando il sospetto che il suo profitto arriverà per altre vie
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Politica economica
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Politica economica
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Fmi e Unctad rottamano le teorie liberiste
Il Fondo demolisce un altro dei caposaldi del pensiero finora dominante, affermando che gli investimenti pubblici sono utili e stimolano quelli privati. L’organismo dell’Onu per lo sviluppo va oltre, condanna l’austerità e propone, per superare la crisi, una strategia radicalmente diversa da quelle passate
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Europa
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Conti, la Ue cambia metodo, ma...
Il vicepresidente della Commissione Dombrovskis si è richiamato a una proposta dell’European Fiscal Board che, oltre a rottamare l’output gap, propone di introdurre una golden rule parziale (gli investimenti in progetti europei non verrebbero conteggiati nella spesa) e – senza nominarli – gli eurobond. C’è da scommettere che verranno accolti solo i suggerimenti che cambino il meno possibile delle impostazioni attuali
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Lavoro
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La stagione dei
diritti: come
nacque lo Statuto
A dieci anni dalla scomparsa si ricorda Gino Giugni, protagonista dell’elaborazione di quella legge, voluta dal ministro Giacomo Brodolini “per far entrare la Costituzione nelle fabbriche” e portata a compimento dal suo successore Carlo Donat Cattin. Un periodo in cui “fare le riforme” significava migliorare le condizioni dei lavoratori
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Lavoro
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Il “Decreto dignità”
ha funzionato
A un anno dall’entrata in vigore del provvedimento l’occupazione non è diminuita, mentre si sono ridotti i contratti a termine e sono aumentati quelli a tempo indeterminato: proprio quello che ci si proponeva. Una smentita per chi profetizzava che questa modesta riduzione della flessibilità del lavoro avrebbe prodotto disastri
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Politica
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I veri motivi
della sconfitta
di Corbyn
E’ la Brexit, una battaglia che il Labour non poteva combattere, il motivo principale dell’esito elettorale. Quasi tutti o collegi passati ai Tory avevano una maggioranza di Leave. Ma c’è anche un altro motivo: la vecchia guardia blairiana non ha mai accettato il ritorno a un programma socialdemocratico, che ha invece entusiasmato giovani e militanti
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Lavoro
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Quando le mondine
piegarono gli agrari
All’avanguardia nella conquista delle otto ore di lavoro furono le mondariso di Vercelli, che non temevano nemmeno di affrontare la Regia Cavalleria, e vinsero la loro battaglia il 1° giugno 1906. Un romanzo storico di Sergio Negri racconta quel periodo e quella lotta
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Politica
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La Costituzione
secondo Mattarella
Nella lettera ai presidenti delle Camere il capo dello Stato circoscrive i compiti della Commissione sulle banche con affermazioni piuttosto sorprendenti, come quella che il Parlamento non sarebbe “sopra ordinato” a nessuna delle authority e una lettura dell’art. 41 che si ferma alla libertà dell’iniziativa privata. Il presidente ha forse motivo di non fidarsi di questa maggioranza, ma le sue interpretazioni della Carta lasciano seri dubbi
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Economia
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Economia
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Cottarelli, quando
gli economisti
danno i numeri
Se non si fossero fatte politiche di austerità il debito dell’Italia in rapporto al Pil sarebbe al 145%, afferma Carlo Cottarelli. Ma questi conti non hanno nulla di oggettivo, sono fortemente influenzati dalla teoria economica sottostante, che in questo caso è quella che i fatti hanno smentito, tanto da spingere l’ex capo economista del Fmi a fare autocritica. Eppure si continua ad applicarla, perché è funzionale alle politiche economiche di destra
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Europa
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Le regole di Merkel
e il randello di Trump
“L’Unione europea si basa sul rispetto delle regole”, ha detto la cancelliera. Ma è proprio la Germania a ignorare quelle più importanti per il funzionamento di una unione monetaria: un saggio di Sergio Cesaratto spiega come la politica che i tedeschi seguono da sempre – e che non hanno intenzione di cambiare – sia disfunzionale per la Ue. Ma lo è anche per altri paesi, e l’America di Trump sembra decisa a una prova di forza
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Europa
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Italiani e spagnoli,
chi è più ricco?
Gli spagnoli ci hanno sorpassato per reddito pro capite, dice il Fmi. Macché, sono ancora indietro, secondo Eurostat. Chi sbaglia? Pochi se lo chiedono, molti invece approfittano per cantare le lodi dell’austerità spagnola, che li fa crescere più di noi. Ma i dati, oltre che saperli leggere, bisogna pure guardarli tutti
Vedi anche: I segreti della Spagna
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Politica
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Piketty: i Bramini
che si sono presi
la sinistra
Il nuovo saggio dell’economista francese studia i comportamenti elettorali in Francia, Usa e Regno Unito dal 1948 al 2017 e ne conclude che i sistemi politici non si possono più interpretare in base alla lotta di classe. A confrontarsi sono due diverse élite, quella degli intellettuali (i “Bramini”) nei partiti di sinistra tradizionale, e quella degli affari (i “Mercanti”) in quelli di destra. Per i più svantaggiati restano i “populismi” e ancor più il non voto
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Europa
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Stato sociale
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L’università gratis
non è
un’idea balzana
Premesso che il problema più urgente è il drammatico sottofinanziamento, avrebbe senso rendere anche l’istruzione terziaria un compito dello Stato sociale. E il welfare, se non è universale, viene inevitabilmente sottoposto a pressioni politiche per limitarne sempre più la portata, come accade ad esempio negli Usa, dove esiste solo un ridotto “welfare per i poveri”. L’Italia è su quella strada, che porta verso un modello di società non inclusiva
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Politica economica
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Se la regina
avesse chiesto
a Rifkin
In visita alla London School Elisabetta chiese agli economisti: "Come mai nessuno aveva previsto questa crisi?". In realtà l'avevano prevista gli economisti che non seguivano la teoria dominante. Come Jeremy Rifkin, di cui riproponiamo un'intervista di 20 anni fa sorprendentemente attuale anche per le tematiche legate al lavoro
Vedi anche: Merito del Jobs Act?
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Economia
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I cialtroni
delle classifiche
Ambiente per gli affari, libertà d’impresa, corruzione, persino libertà di stampa: l’Italia risulta sempre in pessima posizione. Ma come sono fatte queste graduatorie? Ambrosetti le ha analizzate scoprendo errori grossolani di metodologia e con l’aiuto di tecnici qualificati ne ha stilata un’altra sull’attrattività per gli investimenti: risultiamo al 14° posto su 144 paesi
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Politica europea
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Finanza
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La leggenda
dei tassi pre-euro
Alcuni economisti hanno affermato che prima della nostra adesione alla moneta unica l'inflazione era alle stelle e gli interessi sul debito a doppia cifra, attribuendo più o meno esplicitamente a quella scelta la loro discesa. Ma sbagliano sui numeri, e non solo: trascurano il fatto che quegli andamenti sono stati uguali dappertutto
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Politica
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Amato l'ordoliberale
Così si è definito durante un dibattito. Una conversione sorprendente per chi ha una storia che viene dal socialismo. L'ordoliberismo, nato in Germania negli anni '30, propugna la concorrenza e la stabilità monetaria come principi prioritari e ha una visione organicistica della società. Nell'attuale costruzione europea c'è la sua impronta nefasta. L'equivoco di ritenere l'"economia sociale di mercato" simile alla socialdemocrazia
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Economia
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Europa
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Economia
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Economist e Fortune:
salari troppo bassi
Il settimanale britannico osserva che la produttività è in calo da 40 anni in tutto il mondo e dopo aver scartato varie ipotesi si chiede "se il legame tra bassa produttività e bassi salari non funzioni in entrambi i sensi". La rivista Usa racconta di McDonald's che dopo aver concesso aumenti ha invertito il trend negativo delle vendite
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Politica economica
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Debito italiano
a rischio, anzi
il più sostenibile
Tre valutazioni della nostra situazione danno risultati diversi e per qualche aspetto opposti. Come mai? dipende dalle scelte metodologiche di chi stila queste classifiche, che non servono a prevedere ma a orientare e sono, a ben vedere, la continuazione della politica con altri mezzi
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Scuola
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Ti insegno
l'ignoranza
In un libro di testo di storia per la terza media ci sono in un solo paragrafo superficialità, falsità, errori e giudizi demenziali. Pare che sia molto diffuso, e non stupisce: lo pubblica Mondadori, il maggiore editore italiano, per cui l'autrice ne ha scritti altri 31. Se roba del genere può circolare nella scuola dell'obbligo, decisamente c'è un grosso problema
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Finanza
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Stato sociale
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Lasciateci almeno
la salute
Il governo vuole tagliare 7 miliardi di spesa sanitaria entro il 2017: ma è già piuttosto bassa nei confronti Ocse e Ue e dal 2010 è scesa in termini reali, mentre aumentava nel resto del mondo. Se poi i criteri sono quelli delle recenti norme sulle analisi, stiamo freschi...
Vedi anche: Pensioni, le riforme che Boeri non propone
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Europa
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La Germania,
Sansone e i Filistei
Secondo l'economista Daniel Gros l'egemonia tedesca sull'Europa sta per finire e questo porterà al lassismo e al blocco delle riforme strutturali, spingendo Berlino a uscire dall'euro. Lui si preoccupa per quella che potrebbe essere la soluzione di molti guai invece di interrogarsi sui crescenti problemi economici e sociali dell'Unione. Ma il problema vero è che probabilmente il gigante europeo trascinerà tutti nella stagnazione
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Stato sociale
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Cameron rottama
Bismarck,
pensione fai-da-te
Il leader inglese, dando la possibilità di riscuotere in contanti a 55 anni i soldi accumulati per la pensione, rovescia definitivamente i principi che hanno ispirato la costruzione della previdenza pubblica fin dai tempi del cancelliere Bismarck. Ma la City sarà di certo soddisfatta
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Lavoro
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Lavoro e salari,
il già noto ignorato
Puntuali anche quest'anno i dati Eurostat ripetono che il nostro costo del lavoro è tra i più bassi dei paesi comparabili, nonostante che il cuneo fiscale sia tra i più alti. Se dunque dobbiamo essere più competitivi non ha senso insistere su quel fattore o sulle regole: la produttività si aumenta con gli investimenti. Intanto i dati Istat hanno sgonfiato i trionfalismi sull'occupazione
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Stato sociale
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Buoni-scuola,
tre motivi per dire no
Non solo la qualità delle scuole private è inferiore, non solo sottraendo altre risorse all'istruzione pubblica, dove già spendiamo meno di tutta Europa, la si condanna al degrado e a diventare un "servizio per poveri". Soprattutto, un incentivo alle scuole "identitarie" distruggerebbe il più potente strumento di integrazione per la nostra società ormai multiculturale e multireligiosa
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Sul blog di Rep
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Politica
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Politica economica
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Politica economica
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Italia grandi affari:
dà 8 miliardi
e ne riceve 2
A un anno dal suo annuncio il Piano Juncker, oltre alla pretesa di rilanciare la crescita con risorse irrisorie, è ancora lontano dal diventare operativo, anche se sono stati annunciati i primi finanziamenti: l’Italia, che contribuisce con 8 miliardi, ne avrà 2. E il resto non è sicuro
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Sindacato
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Politica economica
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Euro o no: non è questo il punto
Entrambe le posizioni hanno dalla loro argomenti forti. Ma tornare alla lira, anche ipotizzando che non provochi disastri, non risolverebbe nulla senza un cambiamento della politica economica, così come la moneta unica non sarebbe più un problema se l’Europa cambiasse linea. E’ allora quello l’obiettivo su cui concentrare gli sforzi
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Politica economica
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Pareggio di bilancio?
Siamo già in attivo
Invece di chiedere un rinvio dovremmo contestare un metodo di calcolo assurdo secondo cui scendendo sotto il 10,8% di disoccupazione si creerebbero tensioni sui salari e sull’inflazione. Secondo i calcoli del Cer se quel tasso fosse portato a un più ragionevole 6,5% (com’era all’inizio della crisi e senza tensioni sui prezzi) saremmo già in avanzo strutturale di un punto di Pil
Vedi gli sviluppi:
L'ultima speranza
contro la crisi infinita
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Stato sociale
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Il rischio del "welfare
per i poveri"
Sembra deciso che dal prossimo anno i ticket sanitari saranno proporzionati al reddito. Sembra una misura “di sinistra”, ma il rischio è che il nostro sistema di welfare si avvicini sempre più al modello anglosassone, che si occupa solo dei meno abbienti. Così chi non ne usufruisce finisce per percepirlo come un peso e aumentano le pressioni per ridurlo sempre più. Il punto d’arrivo è la privatizzazione quasi completa
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Politica economica
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L’uomo di marmo
che ci dà
la pagella
Colloquio con Marco Buti, che guida la Direzione generale Affari economici della Commissione Ue che sta per rendere noto il nuovo giudizio sull’Italia. Nessun dubbio da parte sua sulla validità della metodologia con cui si esaminano i nostri conti pubblici, e per la disoccupazione una sola ricetta: riforma del mercato del lavoro
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Politica economica
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Lo spread e i trucchi
della Bundesbank
I trattati europei vietano alle banche centrali di sottoscrivere titoli di Stato all’emissione. Eppure quella tedesca lo fa da anni (e l’ha fatto anche in quest’ultima asta) aggirando quella regola che pretende che tutti gli altri rispettino. Perché gli altri non fanno lo stesso e nemmeno glielo contestano?
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Economia
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Quanto vale
un bravo manager
L’ipotesi di limitare i superstipendi dei manager pubblici divide anche a sinistra. Ma ritenere che l’entità dello stipendio sia il fattore sempre e comunque determinante per selezionare i migliori è un’idea platealmente sballata. Ci sono molti altri fattori che influiscono sulle scelte personali
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Lavoro
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Il sindacato
e i frammenti
ricomposti
Unificare il mercato del lavoro, che mai come oggi è stato così segmentato in cento figure diverse, è un problema che il sindacato discute, ma finora senza uno sbocco definito. Una battaglia per una legge sul salario minimo potrebbe dargli una nuova immagine e favorire un contatto con tutte quelle figure che lo vedono ormai come parte dell’establishment, oltre a restituirgli un ruolo di soggetto politico generale
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Politica
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Quel Messaggero
da battaglia
C’è stato un periodo, negli anni ’70 e ’80, in cui il giornale romano visse una stagione battagliera e indipendente che coincise in buona parte con la direzione di Vittorio Emiliani, che in un libro di memorie racconta tutto, dalla vita di redazione ai retroscena politici di molti avvenimenti importanti
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Lavoro
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Garantire il reddito?
No, il lavoro
Si continua a parlare di “reddito di cittadinanza” o “reddito minimo garantito”. Ma, come già diceva Paolo Sylos Labini più di 30 anni fa, non è all’assistenzialismo che bisogna puntare, ma ad assicurare un lavoro a tutti. Evitando gli errori di esperienze simili, come i nostri “lavori socialmente utili” o i “mini-job” tedeschi
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Pic
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Capitali esteri?
Sì, ma…
Vogliamo
tantissimi investimenti diretti esteri. Però devono essere quote di
minoranza, possibilmente in aziende in crisi e i nuovi arrivati non devono
rompere le scatole ad azionisti e management.
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Stato sociale
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“Per uscire dalla crisi
stracciate
la Costituzione”
Un documento di JP Morgan, una delle maggiori banche d’affari del mondo, afferma che le Carte fondamentali dei paesi del Sud Europa “mostrano una forte influenza delle idee socialiste” e impediscono di prendere i provvedimenti necessari, come eliminare le tutele dei lavoratori e “la licenza di protestare”. Di loro sì che possiamo fidarci: senza i salvataggi pubblici sarebbero già falliti due o tre volte
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Politica economica
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L'uovo del debito
e la gallina
della crescita
Una nuova smentita alla teoria di Reinhart e Rogoff, secondo cui un alto debito pubblico frena la crescita: è dopo la frenata che il debito sale, afferma David Rosnick esaminando proprio i dati usati dai due. Un altro colpo ai fanatici dell'austerità, che però se ne infischiano
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Economia
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Mi fletto ma
produco meno
Nel 2009 scrissi un articolo sostenendo che l'eccessiva flessibilità del lavoro è dannosa sia per l'economia in generale che per le imprese. Scopro ora che in sedi autorevoli sono state sostenute tesi analoghe, almeno per quanto riguarda il rapporto tra flessinilità e produttività (vedi il post scriptum in fondo all'articolo)
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Conti pubblici
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Se fossimo europei
nell'evasione
I dati Ocse ci collocano ai vertici di questa poco onorevole classifica. Se le tasse non pagate scendessero alla media fatta su cinque paesi (Germania, Francia, Regno Unito, Danimarca e Olanda) incasseremmo 80 miliardi in più e oltre a rispettare gli accordi imposti dall'Europa potremmo rilanciare l'economia
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Politica economica
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La pandemia
dell'austerità
La Commissione Ue dice di temere che gli squilibri dell'Italia possano contagiare il resto d'Europa, ma poi stila una lista di "malati" che ormai è più lunga di quella dei sani. Non le viene il dubbio che la politica europea sia sbagliata? Nella lista manca la Germania, ma dovrebbe esserci: invece viene graziata da una regola piuttosto singolare
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Conti pubblici
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Consulenze, uno spreco evitabile
Le spese per gli incarichi ad esterni della pubblica amministrazione risultano di circa 3 miliardi, ma in realtà sono di più se si considerano alcune fattispecie non rilevate e le tante vertenze che ingolfano la Corte dei Conti. Le leggi per contenerle non hanno funzionato, consentono varie scappatoie. Eppure ci sarebbe un rimedio semplice
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Politica economica
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Chi più spende
meno s'indebita
Tagliare la spesa pubblica per ridurre il debito è uno dei mantra più ripetuti del pensiero economico dominante. Ma sono sempre di più gli economisti che denunciano che è un'idea profondamente sbagliata e ora un esercizio econometrico del Fondo monetario mostra risultati stupefacenti
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Economia
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Lo strabismo
di Confindustria
Solo nelle ultime pagine "Italia 2015", il documento con le proposte per rilanciare la crescita, si occupa dell'organizzazione e del costo dei servizi. Eppure le tanto ricercate competitività e produttività dipendono per una parte importante da quello, come affermano studi Ocse e Bankitalia. Meglio prendersela con i lavoratori che con lobby potenti?
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Politica monetaria
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Bernanke
il rivoluzionario
La crisi che non passa sta incidendo profondamente anche sul ruolo delle banche centrali e sulle loro strategie e i dogmi degli ultimi trent'anni vengono rimessi in discussione. La Fed, in particolare, per la prima volta ha indicato un obiettivo numerico sulla disoccupazione. Solo in Europa innovazioni quasi a zero
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Lavoro
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Precari di Stato,
una vergogna
“all’italiana”
Nella pubblica amministrazione ci sono ben 260.000 dipendenti precari: uno scandalo per un comparto che fornisce servizi previsti dalle leggi e non è soggetto alle oscillazioni del mercato. Ma i precari sono serviti a tutti: ai politici per il clientelismo, ai dirigenti per aggirare i blocchi del turn over, ai sindacati che guidano le rivendicazioni alla stabilizzazione. Tanto il conto alla fine lo pagano sempre i più deboli, cioè loro
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Politica economica
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La Bce pensa
ai salari invece
che alla finanza
Il Bollettino afferma esplicitamente che i salari sono già scesi, ma non abbastanza, e solo questo può far ridurre la disoccupazione. La Banca centrale insiste dunque su una ricetta bocciata da un gran numero di autorevoli economisti e soprattutto dai fatti. Non sembra preoccuparsi, invece, delle riforme proprie dei suoi compiti, quelle per il controllo della finanza
Vedi anche: Bce, il lungo addio ai Tre del rating
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Politica
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McKinsey
ministero ombra
Il commissario Cttarelli non è il solo ad essere a disagio: nelle questioni legate alla pubblica amministrazione si sta diffondendo in modo pervasivo la presenza della società di consulenza, da cui proviene il più ascoltato consigliere di Renzi, Yoram Gutgeld. A ciò ora si aggiunge la squadra di economisti di supporto a Palazzo Chigi, in prevalenza di orientamento liberista
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Economia
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Lo Stato non paga,
non ispeziona
e non riscuote
Secondo i dati dello stesso ministero dopo il 2007 il numero delle ispezioni nelle aziende è crollato e così i contributi recuperati, che del resto non superano mai il 20% dell’accertato. Così da un lato non si pagano i fornitori, dall’altro non si recupera l’evasione. Nelle aziende ispezionate i lavoratori irregolari sono in media il 40%
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Economia
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Competitività,
le tasse
fanno male?
Certo, se se ne pagano più degli altri bene non fanno. Ma da una classifica Ocse sulla tassazione delle imprese in rapporto al Pil non emerge una relazione chiara. Evidentemente altri fattori contano anche di più
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Politica
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Usa, per il 90%
reddito fermo
da 40 anni
Il successo di candidati outsider rispetto ai partiti tradizionali, come Trump e Sanders, esprime la richiesta di cambiare la politica dominante fin dagli anni '80 che ha esasperato le disuguaglianze. In Europa accade la stessa cosa, con la progressiva scomparsa dei partiti che hanno abbandonato le idee socialdemocratiche e l'emergere di nuovi soggetti politici di vari orientamenti ma che comunque si dichiarano alternativi
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Politica economica
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La privatizzazione
degli incendi
Canadair ed elicotteri sono di sette aziende private, oggi indagate per aver fatto cartello e tenuto i prezzi alti. Ci sono molti buoni motivi perché i servizi pubblici essenziali siano gestiti direttamente dal settore pubblico, e soprattutto è falso, anche dal punto di vista teorico, che appaltandoli ai privati si risparmia
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